Fuori le serie! 🛋️ #113: Strapparsi (i capelli) lungo i bordi
Fuori le serie!
- di Nicola Cupperi -
#113 - Strapparsi (i capelli) lungo i bordi
Ciao ,
questa è Fuori le serie!, la newsletter di Film Tv che ti segnala tutte le serie che partono, tornano o ricominciano in streaming ogni settimana.
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Esce la stupenda serie di Zerocalcare, l'ultima stagione di una serie fondamentale come Gomorra e un'altra serie coreana che ci spacciano come il nuovo messia (Hellbound). Purtroppo, però, esce anche il remake in live action di Cowboy Bebop, e i capelli saltano a ciuffi proprio.
NETFLIX
Christmas Flow - Gli opposti si innamorano (Francia, 2021)
dal 17/11/2021
Io un po' me lo immagino il dialogo che hanno avuto i produttori e i creatori di questa serie, gente violentemente francese con nomi tipo Françoise du Notre Dame o Jean-Luc Eux de Parbleu:
“Oh, ho avuto un'idea per la serie di Natale: rifacciamo Intouchables, ma in versione commedia romantica natalizia. E la proponiamo a Netflix, che tanto quelli si bevono tutto”
“Intouchables è quello con il tetraplegico bianco ricco e il badante pregiudicato nero che diventano quasi amici? A proposito, sai come l'hanno chiamato quel film qui in Italia? Quasi amici. Che sagome gli italiani”
“Buffi gli italiani. Uè uè pizza mandolino. Oh oh oh. Comunque sì, Intouchables è quello”
“Quindi al posto di quasi amici tu vorresti fossero quasi amanti, con il ricco tetraplegico bianco e l'enorme badante nero che si innamorano tra mille ostacoli. E vorresti che fosse una commedia. Natalizia. Ne sei certo?”
“Ora non più”
Poi vien fuori che Françoise e Jean-Luc ne hanno parlato a lungo, sono giunti a più miti consigli e hanno capito che il segreto non era rifare pari pari Quasi amici in versione rom-com natalizia, ma solamente copiarne lo spirito sperando che qualcuno, scrollando fra il palinsesto di Netflix, si faccia attirare da quella faccenda qui di persone agli antipodi dello spettro sociale e filosofico che sbattono l'una contro l'altra e alla fine capiscono che siamo tutti uguali e che sarebbe consigliabile volersi un po' più di bene, basta fermarsi ad ascoltare. O qualcosa del genere. I protagonisti di Christmas Flow, coloro i quali già sappiamo fin dal titolo che si innamoreranno e ora dobbiamo solo avere la pazienza di scoprire come, sono: da una parte una pervicace giornalista d'inchiesta, intensa sostenitrice dell'attivismo femminista e generalmente poco tollerante nei confronti delle persone che sono poco tolleranti; dall'altra un celebre rapper parigino, famigerato per i suoi testi tacciati di sessismo e in cerca di un modo per far capire all'opinione pubblica che lui alle donne in realtà ci vuole bene, non è mica colpa sua se stanno meglio in cucina.
Strappare lungo i bordi (Italia, 2021)
dal 17/11/2021
Strappare lungo i bordi è proprio un buon titolo per raccontare di quanto sia difficile vivere, dacché strappare lungo i bordi, intesa come attività letterale o metaforica che sia, rimane una delle cose più complicate di sempre. Molto più difficile di colorare rimanendo dentro i contorni, per esempio. Quella è una roba che, appena smetti di essere bimbo e guadagni un po' di coordinazione mano-occhio e di senso della responsabilità nei confronti della gestalt che stai colorando, con un po' di impegno ti riesce. Strappare lungo i bordi è quella cosa che, anche se ti metti di buzzo buono e concentrazione seria, poi finisci per scappellare, e magari nemmeno per colpa tua ma per via della qualità della carta, del tasso di umidità nell'aria, della distrazione dovuta ai cani e i gatti che si accoppiano lì vicino a te. Che frustrazione. Strappare lungo i bordi è la metafora che il fumettista romano Zerocalcare – dai che lo conoscete tutti: quello di Propaganda Live durante la quarantena, quello che ha la coscienza a forma di armadillo e con la voce di Valerio Mastandrea, quello che magna i plumcake e ascolta musica punk – ha scelto per raccontare un'altra fetta della sua vita. Una fetta che, per atmosfere, struttura narrativa e peso emotivo, ricorda un po' quella già mostrata in La profezia dell'Armadillo, il primo libro a fumetti autoprodotto e autopubblicato (con l'aiuto di Makkox) da Zerocalcare nel 2012: tanti piccoli aneddoti impilati a formare un quadro più grande, che si compone nella sua interezza solo alla fine delle sei puntate – che, qualora ve lo steste chiedendo, filano via come una sorsata di chinotto ghiacciato a Ferragosto. E proprio come il chinotto, anche Strappare lungo i bordi, stavolta la serie, nasconde uno strato di amarezza sotto tutte le bolle frizzantine del punto di vista alleniano, nevrotico e vagamente ipocondriaco, assunto dall'autore e protagonista della storia. Una delle più grandi doti di un artista, specialmente fra quelli nati e cresciuti fieramente indipendenti, è riuscire a non perdere la propria identità anche quando arriva il successo e ti viene richiesto di parlare a un pubblico più ampio. Zerocalcare è riuscito nell'impresa di non tradire se stesso e la propria arte, realizzando una serie animata praticamente impeccabile, e degna di tutti quei lavori precedenti che lo hanno eletto a nolente cantore di una generazione di adorabili disadattati.
Cowboy Bebop (Usa, 2021)
dal 18/11/2021
C'era una volta una serie animata giapponese che, dal punto di vista di una generazione scalcagnata che ha raggiunto la maturità psico-fisica verso la fine degli anni '90, per svariati anni ha rappresentato l'epitome della coolness. L'unica maniera per tradurre cool in italiano è utilizzare parole come “ganzo” o “figo”, e l'effetto è sempre quello di Matteo Renzi con il chiodo che rovina tutte le fantasie erotiche su Fonzie, o quello dell'ultracentenario signor Burns dei Simpson che tenta di travestirsi da regaz per infiltrarsi nella scuola elementare. Cowboy Bebop, il cartone creato e diretto da Shin'ichirō Watanabe, non era né figo né ganzo. Era proprio cool, ma di quel cool che non sembra nemmeno provarci più di tanto a esserlo. Era una serie di fantascienza, ambientata in un universo caotico in cui l'umanità ha conquistato lo spazio, ma in cui le distanze impediscono all'ordine costituito di fare il suo lavoro come si deve, e per questo sono tornati in voga i cacciatori di taglie forniti di lettera di corsa ufficiale per inseguire i cattivoni, assicurarli alla giustizia e incassare il premio in denaro corrispondente. Sono i nuovi cowboy, e lo spazio è la nuova frontiera. Ma Cowboy Bebop, oltre che un western spaziale, riusciva anche a essere un noir scritto e diretto con gli stessi ritmi e accordi sincopati tipici del genere musicale omaggiato nel titolo (e nel nome dell'astronave che porta a spasso i quattro protagonisti, cinque con il cane Ein). Cowboy Bebop era l'epitome della coolness perché riusciva nell'impresa rara di parlare a un certo pubblico di giovani – una generazione collettivamente dispersa al confine tra analogico e digitale, che scopriva, in massa, il privilegio di una noia così intensa da trasformarsi in maledizione – per la prima volta con il loro stesso linguaggio, da pari a pari e senza giudizio. Hai detto poco. Tutto questo per arrivare a chiedersi: cosa diamine ci si può aspettare dal suo remake americano, in live action e arrivato una ventina d'anni fuori tempo massimo? Nulla. Perché Cowboy Bebop è, oggettivamente, irripetibile. Una manfrina infinita solo per contestualizzare il seguente consiglio, non richiesto e particolarmente banale: affrontate questa serie come se non fosse mai esistito nient'altro, e la troverete divertente. C'è John Cho in forma smagliante e dal carisma sempre impeccabile, nonostante il ciuffo scemo, nei panni del correttamente smargiasso Spike Spiegel, cacciatore di taglie con un passato losco e mesto che tornerà a mordergli le chiappe, rischiando di compromettere irrimediabilmente i suoi rapporti con la famiglia di amici/colleghi – il burbero Jet Black, ex sbirro caduto in disgrazia, e la rumorosa Faye Valentine, dimentica del proprio passato a causa di una brutta amnesia – che si è costruito nel tempo tra mille difficoltà pratiche ed emotive. La serie cresce con le puntate e alla fin della fiera riesce ad assestarsi sui livelli di un prodotto d'intrattenimento decente e realizzato con la giusta dose di passione. Il finale, però, promette una seconda stagione che non sono troppo sicuro di voler vedere.
Hellbound (Corea del Sud, 2021)
dal 18/11/2021
Yeong Sang-ho è quel signore che prima ha fatto Train to Busan – film di zombie passato per Cannes e poi distribuito in tutto il mondo non tanto perché è bello, ma più che altro perché è furbo – e poi ne ha tratto un universo cinematografico (il cartone prequel Seoul Station, il brutto sequel Peninsula) che nessuno, ma proprio nessuno, ma nemmeno il suo agente, o la sua moglie o l'anzianissima bisnonna in punto di morte (“Il mio ultimo desiderio è che il caro Sang-ho prosegua con quella serie di film fetidi di zombie”) gli aveva chiesto. Ma lui l'ha fatto uguale. Perché a Yeong Sang-ho non glielo dici mica quello che deve fare o non fare. Anche perché lui viene da una carriera faticosa: prima faceva il regista d'animazione indipendente, ed era stato autore di un paio di film (King of Pigs e The Fake) molto belli, ma non propriamente caratterizzati dalla voglia di vivere. Poi ha fatto un sacco di soldi e guadagnato altrettanto prestigio internazionale a forza di film di zombie, e come fai a dirgli di fermarsi? In questa serie qui, invece, Yeong si pone la seguente domanda esistenziale: cosa succede quando siamo costretti, tutti insieme e non singolarmente, ad affrontare una realtà che non ci sta troppo dentro? La realtà che non ci sta troppo dentro è quella che si presenta un bel giorno qualunque, quando a un tot di persone a caso in giro per il mondo appare un faccione grigio appeso per aria, giunto ad annunciare loro il momento preciso in cui moriranno. Quando l'istante della profezia arriva, tre mostroni di fumo anch'essi grigi appaiono apparentemente dal nulla, inseguono il condannato e lo bruciano vivo. Son cose. Nessuno, sulla Terra, ha la minima idea di quello che sta succedendo. E siccome Yeong si vanta di conoscere bene gli esseri umani, butta lì un'idea innovativa: di fronte all'ignoto, la specie collettivamente nota come genere umano reagisce in maniera scaramantica e violenta. Ma dai. Nasce in tempo zero la potente setta Società della Nuova Verità, che tiene traccia di tutti gli omicidi rituali in giro per il mondo e li addebita sul conto dell'umanità e degli svariati peccati da lei commessi dall'alba dei tempi. Poi c'è da dire che ci sono anche degli sbirri coreani che tentano di capirci qualcosa. Ma alla fine tutto sembra andare a carte quarantotto quando la leader della setta annuncia di essere stata visitata dall'angelo grigio dei peccati e di avere intenzione di trasmettere in diretta mondiale la sua sentenza, rischiando di scatenare definitivamente il panico.
PRIME VIDEO
La ruota del tempo (Usa, 2021)
dal 18/11/2021
Ci sono alcuni libri che la gente tiene sugli scaffali così, per sport. Senza averli mai letti, solo perché fa figo. Tipo Moby Dick o, quasi sicuramente, Gente di Dublino e Il giovane Holden; e beccami gallina se lì in mezzo non c'è anche qualcosa di Baricco o di Benni. Questi libri possiedono, al contempo, due caratteristiche fondamentali: sono riconosciuti come grandi classici, da cui deriva il fare figo nell'ostentarli; e non occupano troppo spazio sugli scaffali, perché va bene che fa figo ma non è che posso rinunciare a troppi Funko Pop. E poi ci sono altri libri che, pur essendo effettivamente fighi o venendo considerati dei classici del loro genere, non potrebbero far parte della categoria appena descritta per motivi puramente pratici. Prendi la saga de La ruota del tempo, ad esempio. Una roba fantasy talmente minuziosa che il suo autore, Robert Jordan, ci è rimasto secco prima di finirla tutta tutta, pur avendoci lavorato per quasi vent'anni. Il motivo per cui non conviene tenere La ruota del tempo in bella vista in libreria solo perché fa figo è presto detto: l'epopea di Jordan, con gli ultimi tre volumi completati da Brandon Sanderson a partire dagli appunti dello scrittore scomparso, si compone di 14 volumi per un gran totale di 11952 pagine. Roba che se inizi a leggere adesso e vai avanti a una pagina al giorno, finisci fra più di 32 anni e mezzo. L'universo forgiato da Jordan è, come da prassi fantasy, caratterizzato da una profetizzata e ciclica lotta fra il bene e il male, scandita dalle sette epoche in cui la Ruota del Tempo, marchingegno vecchio come il mondo, si divide. Uno scontro che nasce all'alba dei tempi, quando il Creatore imprigionò il potente e cattivissimo Tenebroso, ma non abbastanza da impedirgli di interferire con le faccende umane. La Ruota ha bilanciato questo piccolo vantaggio delle forze malvagie (dove c'è ombra deve per forza esserci anche luce) introducendo la figura del Drago, un campione della Luce che si reincarna in un prescelto quando la Storia ha deciso che è il momento buono per una bella battaglia all'ultimo sangue tra bene e male. Stavolta sembra che il Drago Rinato debba essere un giovane di nome Rand al'Thor, raggiunto nel suo minuscolo villaggio da Moiraine, appartenente alla potente sorellanza delle Aes Sedai. La quale prenderà Rand e i suoi due migliori amici, convincendoli a seguirla in un pericoloso viaggio formativo.
NOW
Dan Brown - Il simbolo perduto (Usa, 2021)
dal 08/11/2021
Pazzesco, Dan Brown è tornato a fatturare come un drago! Chi l'avrebbe mai detto. Bravo Dan Brown. Egli, Dan Brown, è stato il fenomeno letterario di inizio anni 2000, quello che ha fatto comprare almeno un paio di libri a un sacco di zappe che non leggevano più niente da quando erano scomparsi gli elenchi telefonici; lo stesso che ha fatto incazzare un sacco la gente che invece è iscritta al cineforum e segue le conferenze di Recalcati e va a teatro e i libri li legge per davvero, e ci si emoziona sul serio nel leggerli e ci si imparano le cose importanti, mica che si comprano solo perché è di moda e poi finisce che in cima alle classifiche ci arrivano i libri scritti male. Ecco. Oggi i primi non hanno niente da leggere, non c'è nemmeno più Totti che fa i libri di barzellette; mentre i secondi guardano le classifiche di vendita, vedono i manga ai primi posti e accendono il Walter-segnale per far intervenire Veltroni, il nome più spendibile nella loggia dei vecchi tromboni. Quasi quasi Dan Brown manca. Anche perché, e lo dico a favore del fan club di Recalcati, non è mica difficile rispettare il fatto che a ognuno piaccia leggere un po' quello che gli pare, che il divertimento decerebrato de Il codice Da Vinci è un'emozione che vale tanto quanto la soddisfazione di aver finito la Ricerca di Proust; e poi non so mica quanto bene faccia al fegato questa cosa di sentirsi superiori a quelli che hanno letto e apprezzato i thriller di Dan Brown. Fatto sta che dopo esserci sorbiti la tripletta cinematografica firmata dalla premiata coppia Ron Howard/Tom Hanks con un parrucchino particolarmente rivedibile (Il codice Da Vinci, Angeli e demoni e Inferno), adesso ci tocca anche il romanzo della serva, quello che era uscito in mezzo tra Il codice Da Vinci e Inferno e che i due super amici più sopra avevano bellamente bypassato. Il simbolo perduto vede l'ormai celeberrimo professore di storia dell'arte Robert Langdon alle prese con il solito turbinio fantastorico in cui faccende accertate (e ben documentate e ricercate) vengono mischiate con discreta sapienza alle più selvagge teorie del complotto. In questo caso si tratta di svelare il segretissimo segreto della massoneria. La serie tv ci tiene abbastanza a non buttare il bambino con l'acqua sporca: siccome Tom Hanks con il cacchio che torna a recitare in una roba del genere avendo a disposizione solamente un budget televisivo di media fascia, e dal momento che dobbiamo per forza sostituirlo, facciamo che prendiamo una persona molto più giovane (Ashley Zuckerman) e diciamo fin da subito che questa storia si svolge prima delle questioni trattate in Il codice Da Vinci. In questo modo fa tutto parte dello stesso universo narrativo, e le serie dovesse fare schifo c'è la scusa buona che stavano solamente cercando di attenersi agli standard dei film.
Dexter: New Blood (Usa, 2021)
dal 10/11/2021
“O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”. Vabbè, non è propriamente una citazione da Shakespeare. È più Christopher Nolan che, nel Cavaliere oscuro, fa opera di prolessi e fa predire il futuro al personaggio di Harvey Dent/Aaron Eckhart. Che poi, se lo chiedete a me, fra un paio di centinaia d'anni ci sarà gente che paragonerà Nolan a Shakespeare. Io la butto qua, poi ci risentiamo fra due secoli. “O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”, dunque. Che nel nostro caso diventa “O fai finire come si deve la tua serie di culto durata 8 stagioni, o vedrai che prima o poi ti toccherà riprenderla in mano sennò vai fuori di testa”. Dexter è stata una serie tratta, almeno per la sua ottima prima stagione, dal bel romanzo thriller di Jeff Lindsay La mano sinistra di Dio; parlava dell'eponimo protagonista, un tecnico della scientifica di Miami che in realtà era un serial killer sociopatico, cui il padre adottivo (sbirro a conoscenza dell'indole irrefrenabile del figlio) aveva insegnato un rigido codice per imparare a tenere sotto controllo i suoi istinti assassini, sfogandoli con metodi rigorosi e colpendo solamente criminali sfuggiti alla giustizia. Dexter, il protagonista, navigava la sua bizzarra doppia vita cercando di sfuggire contemporaneamente a se stesso e alle varie persone che, nel corso delle stagioni, scoprono il suo vizietto nascosto. Dexter, la serie, finiva nella maniera più pigra che potete immaginare: il personaggio rinuncia alla sua missione di trasformarsi in una figura costruttiva, decide che i suoi cari non si meritano di avere attorno uno che fa tutti i casini del mondo, finge la sua morte e se ne scappa. Ai Caraibi, direte voi, visto che sono anche a un tiro di schioppo da Miami. Nope, dice Dexter. Preferisco il nord dello stato di New York, vicino al confine con il Canada, se possibile un posto con un tempo da lupi, che devo anche espiare un bel po'. Nella sua nuova casa di Iron Lake, Dexter si fa chiamare Jim Lindsay (vai a rileggere il nome dell'autore del romanzo che ha creato il personaggio e poi: occhiolino occhiolino) e lavora in un negozio di armi e altre faccende per la caccia e il campeggio. Ha anche intrecciato una relazione con la capa degli sbirri locali, Angela, e per quanto riguarda gli istinti omicidi è tutto in regola, non ci pensa più. Poi, però, succedono alcune cose (tra cui il ritorno di suo figlio Harrison) che rischiano seriamente di far perdere il controllo al nostro buon vecchio scannacristiani. Chissà come se la caveranno tutti quanti.
Possessions (Francia, 2020)
dal 13/11/2021
Una giovane donna francese, residente in Israele, è accusata dell'omicidio del marito giusto giusto nel giorno delle loro nozze. La moglie insanguinata fatica anzichenò a provare la propria innocenza, visti anche gli inspiegabili accadimenti che le succedono tutto intorno. È davvero colpevole? O può essere che, invece, è lei la vera vittima della faccenda? C'è che alla ragazza, che si chiama Natalie, dopo le nozze alla Trono di spade è venuta anche una conveniente amnesia. O forse è solo causa del trauma molto traumatico appena vissuto? E poi ci sono tutti i graffi e le cicatrici sul corpo di Natalie, segni che la giovane vedova non vuole o non riesce a giustificare. Cos'è questa storia, poi, che la famiglia del morto faceva la faccia tutta buona e disponibile in pubblico, ma poi sotto sotto non approvava mica tanto quel rapporto qui con una gentile, e per di più francese. Ricordati di Dreyfus, gli dicevano. Probabilmente. E comunque fuori scena. Ancora ancora: c'è pure il fratello dello sposo squartato che non sembra raccontarla tanto giusta. Ma come, anche lui? Accidenti. Avrà qualcosa da nascondere? Chissà. Sai di cosa c'è bisogno adesso? C'è bisogno di un francese con una fazza incredibile, magari un funzionario del consolato in Israele, che indaghi moltissimo per cercare di provare l'innocenza della connazionale, allo stesso tempo non riuscendo a convincersi del tutto della limpidezza dell'accusata. Anche perché, ditemi se sbaglio, ci sarà sicuramente qualche mistero misterioso da svelare nel passato di Natalie. Decidiamo così allora, e poi siamo d'accordo: facciamo che ci sono un sacco di segreti tenuti nascosti da un sacco di personaggi, segreti che verranno fuori man mano rimestando un pantano che, più sì che no, forse era meglio lasciare in pace. Ci siamo no? Abbiamo una miniserie thriller pronta all'uso. Via con la prossima.
Yellowjackets (Canada/Usa, 2021)
dal 17/11/2021
A metà fra il presente e il passato, fra la storia vera e una versione moderna e tutta al femminile de Il signore delle mosche, Yellowjackets è un altro valido tentativo da parte delle lobby dei cannibali per cercare di mostrare al mondo che il consumo di carni umane non è poi così terribile come lo si dipinge. Fesserie a parte, la serie prende evidentemente spunto dalla famigerata, assurda tragedia del 1972 (immortalata al cinema 20 anni dopo da Alive) in cui l'aereo che trasportava una squadra uruguaiana di rugby si schiantò sulle Ande, lasciando i 34 sopravvissuti bloccati in vetta per 72 giorni in attesa dei soccorsi. Sopravvissero 16 persone, facendo cose che probabilmente non ti scordi così, da un giorno all'altro. Yellowjackets racconta la storia di una squadra di calcio giovanile femminile (il titolo della serie è anche il nomignolo della compagine, mannaggia agli americani e ai jazzisti dello Utah) sperduta nei boschi dell'Ontario dopo essere miracolosamente scampata allo schianto dell'aereo che le trasportava. Vent'anni o giù di lì più tardi – si passa dai mitici anni '90 ai tempi nostri – quattro delle sopravvissute alla tragedia vengono minacciosamente contattate da qualcuno che si dimostra a conoscenza delle cose turpi a cui le ragazze furono costrette a ricorrere per avere salva la vita. Non so, ma a me pare proprio che ci sia da divertirsi: non solo un survivor horror che ha per protagoniste delle adolescenti, per di più calciatrici, è quanto di più filologico e realistico si sia visto nel genere da molto tempo a questa parte; ma oltretutto due delle protagoniste sopravvissute, nella loro versione adulta sono interpretate dalle mai dome Juliette Lewis e Christina Ricci. Casper è vivo e lotta SEMPRE insieme a noi.
Gomorra - La serie (Italia, 2014)
quinta e ultima stagione dal 19/11/2021
Già quando sento di gente che non ha mai dato una chance a Gomorra perché “eh il napoletano, eh i sottotitoli, eh che fatica gnè gnè” mi sale un po' di crimine. Ma quando la scusa diventa “ma dai, ma che robe assurde sono, ma poi quel Gennaro lì che nella prima stagione parte per l'Honduras che è un caciottone e poi torna tipo dopo due ore e all'improvviso è Vito Corleone. Ma non scherziamo dai, troppo inverosimile”, ecco che quando sento queste cose mi viene voglia di accendere il bus e portare tutti a scuola. Perché, vi chiederete, la narrazione drammatica della criminalità ha tutto questo fascino e questa presa, tanto sui realizzatori quanto sugli spettatori? Vabbè, in realtà di motivi ce ne sono una marea e mezza. Ma in questo caso ci tengo a concentrarmi sul fatto che, nella realtà parallela della malavita, non solo (per definizione) sono concesse cose che da questa parte della barricata no no, non si può; ma, faccenda ben più rilevante, laggiù può letteralmente succedere tutto e il contrario di tutto, e solitamente sono exploit che nemmeno la più fervida fra le immaginazioni estranee a quel mondo potrebbe inventarsi. Ora faccio un esempio. La famigerata strage di Duisburg, quell'esecuzione pubblica che lasciò a terra sei cadaveri il giorno di Ferragosto del 2007 presso un ristorante italiano nella Germania del nord: sapete come inizia quella storia lì? Inizia nel 1991 (millenovecentonovantuno), quando un gruppo di ragazzini non ancora affiliati, ma comunque legati a un paio di clan calabresi attivi sull'Aspromonte, decide di fare uno scherzo di carnevale e lancia delle uova contro la facciata del locale circolo ARCI (gestito da un membro di un'altra famiglia malavitosa) finendo per insozzarla insieme alla macchina di un altro 'ndranghetista. Ebbene, da un lancio di uova da parte di una manciata di ragazzini è poi scaturita una faida (quella di San Luca, dal nome del paese in cui è avvenuto il primo “incidente”) andata avanti, tra alti e bassi, per più di 25 anni e culminata con la strage di Duisburg di cui sopra. Incredibile. Morale della favola: non venite a raccontarmi che non guardate Gomorra perché vi sembra troppo esagerato, inventivo o, peggio, inverosimile. Certe realtà vanno ben al di là di una mente fin troppo creativa. Godetevi, piuttosto, la conclusione di uno degli impianti drammaturgici più potenti mai costruiti dalla serialità italiana, nella speranza che il finale sia all'altezza di tutto quello che c'è stato prima.
- questa rubrica settimanale esce il venerdì per consigliarti come distruggerti di binge watching intensivo durante il fine settimana -
Da (meno) 5 scatolette di pelati a (più) 5 avocado, un voto a settimana per una serie presentata in questa newsletter (in questo numero o in passato).
BMF (StarzPlay)
Due scatolette di pelati inaciditi a BMF, acronimo che sta per Black Mafia Family e che racconta la storia vera, seppur AMPIAMENTE spettacolarizzata a fini narrativi, dei due super fratelli Flenory, migliori amici del cuore che a partire dalla fine degli anni '80 (e fino all'inevitabile arresto) sono stati i padroni incontrastati del traffico di crack nei ghetti di Detroit. Qua la parola d'ordine è grana neanche grossa, direttamente enorme. Sembra di vedere una soap opera, solo che gira meno cocaina. Peccato, perché l'idea di raccontare l'ascesa della malavita afroamericana, che cresce all'ombra della nascente cultura hip hop, poteva recare grandi soddisfazioni. Ma chi siamo noi per pretendere della qualità da 50 cent? Dei matti, ecco chi siamo.
Non c'è nulla che ti convince, tra le serie di questa settimana? Prova una S01! Una prima stagione da recuperare nel weekend. Questa settimana...
[Netflix]
Come in molti kolossal storici, si comincia con un sovrano malato e una cospirazione per sbalzarlo dal trono. Come in tanti catastrofici, qualcuno ha un’idea pericolosamente stupida che diventa la prima tessera di un domino disastroso. Come in ogni fantasy d’alto budget, ci sono paesaggi mozzafiato, scenografie maestose e costumi intessuti di fini dettagli, appassionanti coreografie di combattimento e scene di battaglia. Come sempre quando ci vanno di mezzo gli zombie, c’è la metafora: e in Kingdom - super-produzione coreana, tanto ricca da aver sforato il già milionario budget iniziale, ideata dalla sceneggiatrice Kim Eun-hee (che ne aveva già fatto un webcomic, The Kingdom of the Gods) e interamente diretta da Kim Seong-hun (A Hard Day) - viene declinata in una dimensione meno abusata del solito, quella di un sistema sociale diviso in caste rigide e implacabili, dove il popolo che muore letteralmente di fame vale meno di qualsiasi altra cosa e viene schiacciato dalle classi dominanti con la nonchalance riservata agli insetti. La definizione di «Il trono di spade coreano» è abbastanza appropriata, soprattutto per il modo in cui Kingdom miscela intrighi di corte, elementi horror e sanguinolenti, cavalcate tra location suggestive e distanti tra loro, e perfino qualche spunto di commedia: il percorso del protagonista - principe ereditario ma figlio di una concubina, cresciuto nel lusso ma con la prospettiva di essere ucciso qualora arrivasse un erede legittimo - si evolve verso un eroismo classico, in linea con la solennità epica e tradizionale del genere. Al netto di una conclusione tronca (più un “fine prima parte” che un “finale di stagione”, ma nuove puntate sono in arrivo), un’avventura in cui tuffarsi.
Alice Cucchetti
[pubblicata su Film Tv n° 07/2019]
EXTRA
Pilota è un podcast sulle serie tv realizzato da Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce grazie alla piattaforma Querty. Abbiamo pensato di riascoltarlo dall'inizio insieme ai lettori di questa newsletter, proponendone un episodio ogni settimana.
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Qualche notizia dal mondo delle serie.
La storia di Vincent Chin raccontata da Chloé Zhao
Per gli orfani di Downton Abbey (spoiler: è solo un trailer)
A proposito di scatolette di pelati
Il ritorno di Christoph Waltz (sorvolando, come sempre, su Quibi)
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Piccoli West crescono
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