Fuori le serie! - #111: La newsletter che non è una risposta a Squid Game
Fuori le serie!
- di Nicola Cupperi -
#111 - La newsletter che non è una risposta a Squid Game
Ciao ,
questa è Fuori le serie!, la newsletter di Film Tv che ti segnala tutte le serie che partono, tornano o ricominciano in streaming ogni settimana.
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Settimane di assenza, molti recuperi, e almeno due serie (Vita da Carlo e Dr. Brain) firmate da gente di cui ci si può fidare.
La prima stagione non si scorda mai
NETFLIX
Guida astrologica per cuori infranti (Italia, 2021)
dal 27/10/2021
Una di quelle narrazioni in cui i protagonisti si lamentano che la vita non è come le commedie romantiche con cui sono cresciuti, e poi improvvisamente diventa una commedia romantica solo leggermente diversa rispetto a quelle con cui sono cresciuti. C'è questa tizia sui trent'anni (Alice) che, poverina, è lo sfavore fatto persona – goffa insicura e irrisolta, caratteristiche magnificate da una certa dose di sfiga tipo lavorare insieme all'ex fidanzato e la sua attuale futura moglie incinta per una produzione televisiva locale che rischia di chiudere baracca e burattini – e a un certo punto, nel suo periodo meno migliore (chiamiamolo così, ché alla fine la nostra si sbatte sempre per mantenere una certa dose di buonumore), incontra uno sconosciuto tutto alternativo (un Tiziano che si fa chiamare Tio, ma vai a zappare la terra vai) che la intorta sull'astrologia, trasformando la ricerca di Alice del compagno perfetto in una caccia al tesoro in base al segno che potrebbe essere una puntata dei Cavalieri dello zodiaco, solo un po' meno movimentata e con dialoghi meno pomposi. Tratto dall'omonimo libro pubblicato nel 2015 da Silvia Zucca, questa serie vanta la regia della splendidamente battezzata Bindu De Stoppani, italo-svizzera-statunitense nata in India e già di diritto idolo delle folle solo per la sua collezione di passaporti. Ah, e c'è anche la brava Michela Andreozzi a firmare la regia di alcuni episodi. Ogni puntata un segno, ogni segno una potenziale anima gemella. La serie comincia parlando male della Bilancia (la parrocchia astrale della protagonista) e del suo momento negativo in recessione, colpa o merito di Saturno che metteva i bastoni fra le ruote e adesso comincia a concentrarsi sullo Scorpione. Poi si spala un po' di sterco sugli uomini Ariete, valutati come dei Tarzan – con tutti i pregi e i difetti che l'essere un australopiteco comporta. Secondo i miei appunti, però, la Bilancia è l'anziano maestro di Sirio il Dragone, un mini-vecchino cinese tutto incartapecorito e centenario che è anche molto buono e dona le sue armi ai cavalieri che vogliono usarle a fin di bene. E l'Ariete è quel tizio tutto mistico che abita in montagna in Tibet e ripara le armature danneggiate dei cavalieri in difficoltà che dimostrano la loro passione per Atena. Tutte queste discrepanze con il testo sacro non promettono bene.
Il tempo che ti do (Spagna, 2021)
dal 29/10/2021
Questa cosa qua parte scrivendo a tutto schermo UNA SERIE NETFLIX, che poi si trasforma sotto i nostri occhi e diventa UN AMORE NETFLIX e già un po' ti viene voglia di disarticolare un termoarredo e dartelo forte sulle rotule per distrarti in qualche modo da tutta questa mancanza di senso del pudore. Poi però si scopre che questa è una serie, una delle poche al mondo, che ha l'incredibile decenza di durare dieci episodi lunghi 11 (undici) minuti l'uno. Che sarebbe un po' come andare a vedere un film Marvel e scoprire che dura 90 minuti: un segno di evoluzione della specie. Il tempo che ti do lavora su due piani temporali: da una parte il romantico principiare della relazione fra Nico, neo-laureato in biologia che vive alla giornata facendo il maestro di immersioni nel resort di lusso su una qualche isola spagnola, e Lina, coetanea che lavora nello stesso albergo e sogna di studiare infermieristica; dall'altra, nove anni più tardi, il tragico schianto di quella stessa storia d'amore di cui cantavano i bardi e bla bla bla. Ogni puntata si divide nettamente tra passato e presente, a partire dalla prima (un minuto nel presente e dieci nel passato) arrivando man mano fino alla decima, in una progressione geometrica da vasi comunicanti che ribalta perfettamente la tempistiche (dieci minuti nel presente e uno nel passato). Che gusto. E soprattutto che agilità. Ma niente che non abbiate già visto – e pure vissuto, se siete sfortunati e prevedibili come tanti di noi – sia per quanto riguarda lo sviluppo della storia, sia dal punto di vista della scrittura e della messa in scena. Lei, Nadia de Santiago, che è anche una delle co-creatrici della serie, l'avete già vista in Le ragazze del centralino. Lui, Álvaro Cervantes, ha affinato il mestiere recitando al fianco di mastro Beppe Fiorello nel thrillerone targato Mamma Rai ottimamente titolato Gli orologi del diavolo. Da cui il detto “Il diavolo ha fatto le lancette dei secondi, ma non quella dei minuti. E adesso provaci tu a dire l'ora”.
Glória (Portogallo, 2021)
dal 05/11/2021
Da non confondersi con la serie francese che si chiama Gloria senza accento e che parla di avvocati e che è andata in onda su Canale 5 poco tempo fa. Questa invece è una serie portoghese, così a memoria il primo originale lusitano sfornato dal sacripante Netflix. Oh, tutto l'amore del mondo per il Portogallo. Se potessi ci andrei a vivere ieri in Portogallo, per davvero. C'è il mare, ci sono un sacco di chiese che anche se non ci entro dentro comunque leniscono la nostalgia di casa, c'è la gente che è tranquilla e non si fa stressare, c'è il baccalà, c'è il buon vino liquoroso: non capisco cosa si possa volere di più dalla vita. Però questa serie qui pare proprio la rivolta del tavolo dei ragazzi alle feste comandate di famiglia, quando i giovani piazzati in una tavolata a parte decidono che ne hanno avuto abbastanza e pretendono di partecipare alle (inutili) discussioni degli adulti sorseggiando un goccio di rosso allungato con l'acqua. Glória è la storia vera (romanzata) di alcune cose che sono successe in Portogallo nel 1968, all'apice della Guerra Fredda. Dice: ma cosa mai può azzeccarci il Portogallo con la Guerra Fredda? Va bene la storia dei blocchi e delle influenze, va bene che ogni dettaglio era ritenuto importante nell'eterna lotta fra comunismo e capitalismo, ma lasciatelo in pace il Portogallo no? Non rompe le balle a nessuno. Se ne sta lì, bello e tranquillo. Non vuole avere rotture di scatole. E voi ve ne uscite fuori con i vostri agenti doppiogiochisti del KGB e la CIA che vuole intervenire a rovinare la pace di tutti i portoghesi. Ma la gente proprio non ce la fa. Il quid della serie è appunto questo: vicende che potrebbero come non potrebbero influenzare il destino politico dell'intera umanità, che però si svolgono nel posto più improbabile del mondo. In questo caso il minuscolo villaggio di Glória do Ribatejo, un accrocco di tremila anime a sud di Lisbona, in provincia di Salvaterra de Magos. Lì, in quel luogo ameno dimenticato da tutte le divinità del mondo, Washington aveva fatto installare una stazione radio battezzata RARET, ponte tra l'Europa e gli alleati statunitensi. A scompigliare i capelli alla situazione ci pensa João Vidal, ingegnere di giorno e agente segreto del KGB di notte, spedito a Glória do Ribatejo per tentare di compromettere i piani della CIA e, se gli avanza tempo, anche scoprire che fine ha fatto la collega Mia, sparita nel nulla senza spiegazioni.
The Club (Turchia, 2021)
dal 05/11/2021
Da non confondersi con l'omonima serie messicana che è metà soap opera e metà Breaking Bad – in entrambi i casi, le metà sbagliate. Questa invece è una serie turca, e ultimamente le serie turche hanno fatto la loro porca (facciamo tacchina, che tanti di loro il porco non lo mangiano) figura sugli schermi internazionali di Netflix. Roba buona. Magari non troppo allegra, tipo Ethos o The Gift. Ma certamente serie dall'ottimo valore produttivo e realizzativo. E tutto questo swag da serie turca sembra abbastanza indispensabile per The Club, che prende la china abbastanza scivolosa del racconto in costume, ambientando la sua storia nella Istanbul del 1955. E io, che non so bene come fosse la Istanbul del 1955, ho grosse aspettative, nutrite dal fatto che l'ex Costantinopoli è il posto più bello e affascinante al mondo, ma proprio per distacco (scusa Venezia). E se è così adesso che c'è quell'infame di Erdoğan, figurati cosa poteva essere negli anni '50, che sono stati un po' l'unico decennio di relativa pace politica nella Turchia del '900. La storia è quella di Matilda, giovane donna ebrea che è appena uscita di prigione – pace politica o non pace politica: è la storia degli ebrei ovunque e quandunque – e si sbatte tantissimo per ritrovare la figlia mai conosciuta Rasel e riconciliarsi con lei. Nel frattempo Matilda, che di mestiere fa la sarta, trova lavoro nel più scoppiettante nightclub della capitale: un posto che dall'esterno può sembrare magico e quasi rivoluzionario, ma che dietro le quinte nasconde dinamiche zozze e un po' oscure. La serie è stata divisa in due blocchi da cinque puntate l'uno, e per il momento ci tocca solo il primo.
The Unlikely Murderer (Svezia, 2021)
dal 05/11/2021
Il noir scandinavo è ormai diventato un pranzo in trattoria: puro comfort food, sai cosa aspettarti e te ne tieni lontano se hai voglia di sushi o di qualsiasi altra cosa che non sia un piatto di pasta bello unto e abbondante. Questa miniserie in cinque puntate, però, è un'interessante variazione sul tema dal momento che racconta una storia vera. E che storia. Quella del primo omicidio di un leader politico in Svezia dai tempi dell'assassinio di Gustavo III (si parla del 1792). L'anno è il 1986, direbbe Lucarelli. Il luogo è il centro di Stoccolma, all'esterno del Grand Cinema. La vittima è il primo ministro dell'epoca, Olof Palme, che la sera del 28 febbraio aveva deciso – improvvisando, e dunque non portandosi dietro la scorta. Tanto in Svezia nessuno ammazza i politici no? – di andare insieme alla moglie Lisbeth a vedere la commedia The Mozart Brothers. Il colpevole e il movente, invece, sono rimasti sconosciuti per anni. Merito non tanto del genio criminale del perpetratore, quanto dell'insipienza della polizia svedese, disastrosamente a disagio (per mancanza d'esperienza, beati loro) con un indagine per omicidio. L'assassino è stato individuato con discreta certezza solamente nel 2020, peraltro a vent'anni esatti dalla sua morte. Dovrebbe trattarsi – dovrebbe perché, a questo punto, la verità fattuale è impossibile da scovare – di Stig Engström, personaggio sui generis che nei 14 anni tra l'omicidio e la sua morte si è nascosto in piena luce, cercando peraltro di attirare l'attenzione dei media vendendosi come testimone oculare dell'attentato alla vita del premier. La serie prende l'eccezionale Robert Gustafsson (l'avete amato in Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve), gli cambia i connotati e lo infila nei panni di Engström, nel tentativo di ricostruire il suo punto di vista all'interno di una vicenda che fa ancora grattare qualche testa svedese. Ottima curiosità: Gustafsson (classe 1964) afferma di essere stato presente al Grand Cinema proprio quella sera e proprio per la proiezione a cui avevano assistito Olof e Lisbeth Palme. Vedi te i casi della vita. E vedi te che magari il killer di primi ministri è proprio il buon vecchio Gustafsson. Dico così nella speranza che il sistema legale svedese abbia, con le querele, le stesse difficoltà che ha con gli omicidi politici.
Arcane (Usa, 2021)
dal 06/11/2021
L'avete capito ormai. Sono un brontolone, ma sono sempre aperto a tutto. Ho le mie tazze di tè, a cui sono molto affezionato, ma non mi nego niente. Batto le manine guardando i cartoni, mi faccio venire il groppo in gola con i soapoperismi, mi affeziono ai personaggi delle sitcom stupide, apprezzo un calcio in fazza ben assestato e non ho problemi a cialtronare in una conversazione sulla mise en abyme nel cinema di Assayas. Non ho pregiudizi, né brandisco stereotipi come attrezzo per giudicare. Tutti gli amorevoli insulti che scaglio da questa newsletter servono solo a ricordarci che prendersi troppo sul serio è stressante. Solo che stavolta non so se ce la faccio. È una sensazione simile a quella che ti viene quando devi parlare di un film tratto da una linea di giocattoli, faccenda che non mi è ancora del tutto chiara. Cioè, mi è chiara – i G.I. Joe vendono miliardi di pupazzetti, costruiamoci intorno un film e aspiriamo tutti i soldi dalle tasche dei genitori – ma non sono sicuro di apprezzarla più di tanto. Ma questa cosa di Arcane mi fa impazzire ancora di più. Nasce tutto da League of Legends. League of Legends, per gli amici LoL, è un MOBA, per gli amici Multiplayer Online Battle Arena. Per i non amici, un videogioco strategico in tempo reale in cui due squadre si sfidano su una mappa chiusa, partendo dai due estremi e lottando per spazzare via gli avversari e conquistare le loro roccaforti. LoL è nato nel 2009 e, con gli anni, si è trasformato in una cosa enorme, oltre che competitiva. Nel 2017, i campionati del mondo di League of Legends hanno fatto registrare 60 (sessanta) milioni di spettatori, che si sono ammassati per assistere all'infame lotta fra squadre di ventenni dall'eccezionale coordinazione mano-occhio, in gara per un premio finale vicino ai 4 milioni di dollari (otto miliardi delle vecchie lire). Pazzesco. Ecco, in occasioni delle finali di quest'anno, gli sviluppatori di Riot Games hanno deciso di lanciare questa Arcane, serie animata (vivaddio vietata ai minori di 14 anni, almeno non è una truffa per bimbini piccoli piccoli) ambientata nell'universo di LoL (Chi ride è fuori. Non c'è niente da ridere sull'indotto dell'industria videoludica) e che va ad approfondire il passato di alcuni dei personaggi (i campioni) protagonisti del videogioco. Io non lo so. Spero almeno che piaccia agli appassionati di League of Legends. Agli altri non saprei proprio cosa dire.
PRIME VIDEO
Fairfax (Usa, 2021)
dal 29/10/2021
Adesso li chiamano hypebeast. Sono i ragazzi e le ragazze che soffrono tantissimo se non riescono a comprarsi l'ultimo capo di abbigliamento barra accessorio alla moda, per poi potersene vantare primariamente sui social, ma anche IRL (In Real Life). Leggo in giro di gente convinta che sia una turba appannaggio esclusivo di quest'ultima generazione; ma io me li ricordo bene quelli che spendevano mezzo stipendio della mamma impiegata per prendersi le sneakers Prada con gli strappi e quegli stracazzo di jeans con il risvolto e le macchie di vernice sopra e la gigantesca scritta RICH sul culo. Il tutto solo per star dietro a certi bifolchi arricchiti che facevano dell'apparire l'unica carta sociale possibile da giocarsi in assenza di una personalità degna di nota. E poi, prima ancora, c'erano stati i paninari, e ancora prima gli yuppies e via discorrendo fino all'alba dei tempi, con qualche Neanderthal che sicuramente si atteggiava a cafone sfoggiando con tracotanza la pelliccia nuova mentre faceva una vasca in centro. È pur vero, però, che oggidì i social hanno inasprito tutta la faccenda. Tanto che una serie sui buzzurri delle Prada con gli strappi non l'hanno mai fatta, mentre gli hypebeast hanno dalla loro l'animazione per adulti Fairfax. Ambientata correttamente a Los Angeles, idealmente il cuore pulsante di questa sarabanda globale dell'ostentazione, Fairfax si svolge in una scuola media in cui l'immagine è l'unica cosa che conta. Per dire: l'istituto è gestito da un preside che organizza una parata ogniqualvolta un alunno riesca a farsi verificare l'account su Instagram, ottenendo la tanto ambita spunta blu che separa i vincenti dai pezzenti. Seguiamo le vicende di quattro ragazzini che navigano in queste acque social piuttosto torbide e pericolose, dovendo decidere una volta per tutte se vogliono ottenere a ogni costo la vacua popolarità inseguita dai loro pari o se preferiscono vivere in un sereno anonimato senza ulteriori stress.
Maradona: sogno benedetto (Argentina, 2021)
dal 29/10/2021
Il 28 ottobre 2021 Diego Armando Maradona avrebbe compiuto 61 anni. È morto quasi un anno prima di poterli festeggiare però, consumato da una vita pazzesca e assurda che sì, gli ha consegnato il mondo in mano (o sul collo del piede sinistro), ma gli ha anche tolto la possibilità di sperimentare una vecchiaia di tranquillità. Per celebrare il compleanno postumo, Prime Video ha commissionato una serie (non docu) all'argentino Alejandro Aimetta, il quale ha tirato fuori una versione del Pibe de Oro che potrebbe risultare utile soprattutto agli appassionati italiani, troppo spesso legati a Maradona da logiche di tifo e appartenenze emotive a quella squadra piuttosto che a un'altra. Per dire: nelle cinque puntate finora distribuite, ancora non c'è traccia della sua esperienza italiana. La chance è ottima, dunque, per riscoprire la leggenda di uno dei più grandi interpreti di quello che – volenti o nolenti. E io, ve l'assicuro, su questo argomento sono il capo dei nolenti – è stato fra i maggiori interpreti della più grande religione laica del '900 (and counting): il calcio. Sogno benedetto inizia nel 2000, quando Maradona (all'epoca 39enne) collassa in seguito a una nottata di festeggiamenti particolarmente ragguardevoli. È la prima di tante istanze in cui i fan cominciano a temere seriamente per la salute del loro beniamino. Da questo snodo, la narrazione si apre a un lungo flashback dei primi anni del campione argentino, dall'infanzia nei sobborghi più poveri di Buenos Aires alle prime rivalità con la squadra capitanata dal suo migliore amico, Goyo Carrizo. A un certo punto della serie, peraltro, spunterà anche Riccardo Scamarcio. E se questo maccosa gigante non vi intriga, ho finito le armi a disposizione.
Vita da Carlo (Italia, 2021)
dal 05/11/2021
Direttamente dalle note di regia vergate personalmente dal Verdone: «Vita da Carlo nasce da un'intuizione di Nicola Guaglianone e Menotti nel corso della scrittura di Benedetta follia. Ci prendevamo delle pause durante il lavoro di sceneggiatura, nelle quali venivo spesso interrogato e stimolato su alcune vicende divertenti e assurde della mia vera vita privata. L'idea di cimentarmi in un nuovo modo di scrittura e regia, quello delle serie, nacque proprio in quel periodo [...] Per farla breve Vita da Carlo è la storia di Carlo – fra realtà e immaginazione – amato, celebrato ma schiacciato da una vita al limite della sopportazione per l'invadenza costante, quotidiana, di personaggi che gli succhiano energie, serenità, chiedendo favori, consulenze mediche, interviste su qualsiasi argomento. È la vita faticosa, tormentata e spesso miserabile di un uomo che potrebbe godersi il successo di tanti anni di lavoro e invece, per troppa disponibilità, si ritrova ad esser travolto da una vita ansiogena ed insopportabile. Quando un giorno la politica vedrà in lui, grazie alla popolarità e stima di cui gode, la persona ideale per candidarlo a sindaco di Roma, la sua vita diventerà ancor più infernale. E quella serenità tanto ricercata nei suoi settant'anni, sarà un vero miraggio». E dunque eccoci qua. Anche Carlo Verdone è arrivato a cimentarsi con la serialità televisiva e, potenzialmente, sembra di avere a che fare con un omaggio italiano a Curb Your Enthusiasm, notevole serie HBO che racconta una versione romanzata della vita del suo stesso autore e protagonista, quel Larry David che poteva benissimo andare in pensione dopo aver co-creato Seinfeld e invece è rimasto in giro a fare cose buone. Grazie Larry David. La versione di Carlo si apre con Andrea Pennacchi nei panni di Nicola Zingaretti (presidente della regione Lazio) senza essere Nicola Zingaretti. Pennacchi propone a Verdone la candidatura a sindaco di Roma dopo che una sfuriata improvvisata di quest'ultimo, adirato per aver assistito a un incidente causato da una buca, è diventata virale sui social. Da qui si spalanca una finestra a volte più a volte meno fittizia sulla vita quotidiana di un'icona dello spettacolo e del cinema italiani. Un esperimento chiaramente indispensabile per tutti i verdoniani di ferro, ma plausibilmente potabile anche per chi non ha passione per l'attore, regista, sceneggiatore e dispensatore di farmaci romano.
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Dr. Brain (Corea del Sud, 2021)
dal 04/11/2021
Alla faccia di Squid Game. Ah, tra le altre cose (e poi colleghiamo tutto a Dr. Brain), volete sapere perché sono sicuro che si farà una seconda stagione di Squid Game? Non c'entrano i miliardi di paperdollari, né la fama mondiale conquistata dalla prima stagione. Il vero segreto di Pulcinella sta nell'attore che interpreta il Front Man, quello con la maschera nera disegnata da Braque, e il cui volto viene svelato solo verso la fine della prima stagione. Quell'attore qui è Lee Byung-hun, assieme a Song Kang-ho e Choi Min-sik il più enorme divo (e il più bravo attore) sulla faccia della Corea. Ora: vi pare plausibile che il più enorme divo sulla faccia della Corea accetti di apparire a visto scoperto per quattordici secondi netti senza avere la certezza che ci sarà una seconda stagione in cui potrà spassarsela? Certo, per il giusto compenso tutto è possibile. Ma io dico di no, e la prendo come prova provata che ci sarà una seconda stagione di Squid Game. Cosa c'entra, però, Lee Byung-hun con Dr. Brain? Sarà mica che fa una comparsata mascherata anche qui per poi pretendere una seconda stagione in cui sarà protagonista a visto scoperto? No. Però il regista che ha lanciato nella stratosfera internazionale la carriera di Lee è l'ottimo Kim Ji-woon: i due hanno collaborato sui set di Bittersweet Life, Il buono, il matto, il cattivo, I Saw the Devil e L'impero delle ombre. E adesso che ci siete sicuramente arrivati, sottolineiamo comunque l'ovvio: è proprio Kim il regista che Apple ha scelto per creare e dirigere la sua prima serie originale proveniente dalla Corea del Sud. Ve la venderanno come “La risposta di Apple a Squid Game”. Voi siate gentili e mandateli a quel paese anche da parte mia. Dr. Brain non c'entra nulla con Squid Game, se non per il fatto di uscire a distanza di poche settimane. La storia è quella di Lee Se-won, geniale neuroscienziato dalla memoria eidetica (ma apparentemente privo di sentimenti) che fa ancora i conti con il trauma di aver assistito, da bambino, alla violenta morte della madre causata da uno sconosciuto. Un bel giorno, Lee viene contattato da un losco figuro che gli chiede di estrarre certe informazioni dal cervello di un uomo morto suicida. L'uomo si lascia trasportare dal friccichio della scienza portata ai limiti dell'etica, e accetta la proposta. Per sapere sia leggere sia scrivere sin troppo bene, Lee decide di partecipare in prima persona agli esperimenti di estrazione dei ricordi e dei pensieri dal cervello di un morto. Indovina un po'? Andrà tutto molto male.
A volte ritornano
NETFLIX
La mitomane (Francia, 2019)
seconda stagione dal 29/10/2021 Qua è dove i francesi fanno gli americani e lo fanno senza spocchia, merito della scrittrice/sceneggiatrice Anne Berest e dello showrunner Fabrice Gobert, non a caso già creatore di Les Revenants. Che è un po' quel tipo di serie lì, quella fatta da un europeo con quella sensibilità tutta depressa e disperata di chi è già stato il re della giungla e ha poi dovuto abdicare; quel tipo di serie in cui la gente può ancora fumare le sigarette senza essere per forza il serial killer, ma fatta tenendo a mente i nuovi standard della serialità televisiva introdotti dalla rivoluzione qualitativa lanciata da I Soprano. La mitomane, però, è soprattutto una serie in cui recita (recita, vi dico) Andrea Roncato nei panni del nonno della protagonista, un pizzaiolo artistoide e testardo. E non va già bene così per vendere una serie? La storia è quella di una mamma di tre figli – ognuno a modo suo a disagio: il maggiore si percepisce nel corpo sbagliato, la secondogenita è perennemente incazzata come una biscia, la piccolina ci sta dentro ma è fin troppo brava a usare l'internet – imprigionata in un matrimonio disastroso con un fotografo fallito che la tradisce con la farmacista, oltre a essere costretta a tenersi a un lavoro da scimmia in cui viene costantemente trattata a pesci in faccia. Alla nostra, che risponde al nome di Elvira Giannini e continuiamo a essere sulla strada giusta, un bel giorno prende il matto, e dopo una visita medica di controllo dagli esiti positivi decide di tornare a casa e di annunciare alla famiglia che, in realtà, le è stato diagnosticato un cancro al seno. La situazione precipita abbastanza in fretta ed Elvira si trova costretta a fare i salti mortali per mantenere il palco. La prima stagione pasturava più o meno negli stessi pascoli di Desperate Housewives, per quanto riguarda i toni, le atmosfere e il sincretismo fra generi. Aggiungeteci un certo tocco di presunzione e magniloquenza cinematografiche, ed ecco La mitomane, di ritorno con una seconda stagione che ha l'ingrato compito di riordinare i molti bandoli lasciati in sospeso alla fine della prima.
Big Mouth (Usa, 2017)
quinta stagione dal 05/11/2021
Ce l'abbiamo un po' tutti l'amico/a che alle primissime avvisaglie di brillantezza alcolica parte con la tiritera del “oh che bella l'adolescenza, quanto vorrei tornare a scuola con la consapevolezza di adesso, ah i primi amori, eh gli ormoni”. Caro/a amica/o, prima di perderti sul malincotreno in direzione sbronza irrimediabile e mal di testa da record vatti a guardare le quattro stagioni di Big Mouth in preparazione di questa quinta. Ché Big Mouth è la maniera animata che Andrew Goldberg e Nick Kroll, amici d'infanzia nonché ideatori e sceneggiatori della serie, hanno escogitato per avere catarsi di tutti i grumi irrisolti – sessuali, di identità, di rapporto con il proprio corpo e con la percezione altrui – provenienti dalla loro esperienza personale, rielaborata in quanto adulti materialmente di successo ma emotivamente disfunzionali, e resa universale con la stessa facilità di una battuta sullo sperma.
Narcos: Messico (Usa, 2018)
terza stagione dal 05/11/2021
Prima un breve riassunto delle puntate precedenti, e poi via che ci si rituffa nella non troppo magica realtà parallela del traffico della droga. Dopo tre stagioni di Narcos in Colombia, con la storia dell'ascesa al potere dei cartelli di Medellin e Calì, l'azione si era spostata in Messico per seguire la parabola di Miguel Ángel Félix Gallardo (Diego Luna), che da ex poliziotto con una prospettiva favorevole sulle dinamiche del traffico della droga si era pian piano trasformato in El Padrino. Prima capo del solo cartello di Guadalajara, quindi promotore del consorzio con gli altri cartelli messicani (Sinaloa, Tijuana, Juarez) per mettersi di traverso allo strapotere dei fornitori colombiani, fino a diventare plenipotenziario dittatore del passaggio di droga sul confine tra Messico e Stati Uniti. Sulla sua strada, nella prima stagione, si era messo l'agente infiltrato della DEA Kiki Camarena (Michael Peña). Dal momento che entrambi i personaggi sono ispirati a persone reali, non esistono spoiler. Dunque si preparassero: Camarena viene scoperto da Gallardo e orribilmente torturato. La morte dell'agente trasforma la DEA in Super Saiyan, spingendola a lanciare la più imponente operazione di sempre contro il traffico di droga. L'obiettivo: detronizzare Gallardo e punire, tra le altre cose, la sua arroganza.
PRIME VIDEO
Hanna (Usa, 2019)
terza stagione dal 24/10/2021
Calco televisivo dell'omonimo valido thriller uscito nel 2011 – quello in cui Joe Wright aveva deciso di prendersi una breve pausa dai grandi classici della letteratura per ascoltare un po' di Chemical Brothers e lanciare definitivamente la carriera dell'adolescente Saoirse Ronan – questa serie qui ha avuto il grande difetto di presentare al mondo una prima stagione che era ESATTAMENTE uguale al film da cui era tratta, rompendo svariati set di gonadi a chi ci aveva creduto e le aveva dato una possibilità. Poi la seconda stagione, continuando ad ampliare il world building e approfondendo le storie dei personaggi, riusciva a smarcarsi e a diventare, quantomeno, qualcosa di originale. Questa terza stagione sarà anche (e programmaticamente) l'ultima. D'altronde ormai Hanna tiene 20 anni e oltre, e tutta la storia della bambina che fa brutto agli adulti comincia a suonare vecchia. Bisogna stringere.
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Dickinson (Usa, 2019)
terza stagione dal 05/11/2021
Emily Dickinson è considerata, avendone ben donde, come uno dei maggiori autori moderni di poesia. E non è ancora chiaro se faccia o meno parte delle caratteristiche richieste dal lavoro, ma come tanti altri superbi lirici, anche Dickinson ha avuto una vita, peraltro stroncata prematuramente (a 55 anni) da una nefrite, non particolarmente ricca di gioie e soddisfazioni. Senza contare che il successo e l'ammirazione per i suoi scritti sono stati in larghissima parte postumi. La sceneggiatrice Alena Smith, cresciuta alla scuola di Aaron Sorkin (The Newsroom), ha deciso di cantare il mondo di Emily Dickinson attraverso toni e sensibilità moderni, con il preciso scopo di ricordare a tutti quanto la poetessa americana fosse in anticipo sui tempi, mettendo in scena un dramma formativo in costume raccontato con toni e mezzi narrativi contemporanei. Un approccio peculiare e non adatto a tutti, ma che sottolinea con successo quanto Dickinson fosse estranea ai suoi tempi.
- questa rubrica settimanale esce il venerdì per consigliarti come distruggerti di binge watching intensivo durante il fine settimana -
Da (meno) 5 scatolette di pelati a (più) 5 avocado, un voto a settimana per una serie presentata in questa newsletter (in questo numero o in passato).
Inside Job (Netflix)
Due avocado e mezzo a Inside Job. Che è il classico cartone per adulti tutto matto e sopra le righe, fondato sull'assunto che al mondo esiste davvero un Deep State che manipola tutto e tutti dall'ombra e, tramite l'agenzia Cognito Inc., mantiene il segreto sulla maggior parte dei complotti comunemente inseguiti dalla Gente che pensa con la propria testa®: dall'esistenza di Atlantide e dei rettiliani, passando per la cospirazione della terra cava e il finto allunaggio. Il terrapiattismo però no, quello rimane una scemata anche in questa realtà alternativa. Questo per dire che certe cose le puoi trovare divertenti come no, però il vero valore di Inside Job non sta tanto nella linea comica, quanto nella capacità di contrabbandare una storia piuttosto intima che, in realtà, sotto sotto e alla fin della fiera parla dei danni che certi genitori narcisisti e megalomani sono in grado di fare ai figli, che puntualmente cresceranno narcisisti e megalomani. È il cerchio della vita, bellezza.
Non c'è nulla che ti convince, tra le serie di questa settimana? Prova una S01! Una prima stagione da recuperare nel weekend. Questa settimana...
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Come una versione di Tito Livio sotto steroidi. O un poema omerico in alta definizione. Romulus vede l’azzardo di Il primo re e alza la posta moltiplicando gli archi narrativi, stratificando i punti di vista, elevando a potenza il sesso e il sangue. Ma con la certezza, questa volta, di poter reclamare il proprio diritto di cittadinanza nell’economia - simbolica e letterale - della prestige tv (mentre Il primo re, che riesumava un filone morto e sepolto in un mercato già atrofizzato, tendenzialmente restio ai generi - figuriamoci al peplum! -, era anche e soprattutto una scommessa produttiva). E invece Romulus sa di poter fare affidamento su pratiche di consumo consolidate, e di rivaleggiare per coefficiente spettacolare con la serialità adulta: di giocarsela alla pari con la fascinazione barbarica di Vikings, le pulsioni fratricide di Gomorra - La serie, il respiro epico e la lingua dothraki di Il trono di spade. Con una piccola differenza: il protolatino in cui Romulus è scritta è in parte inventato di sana pianta - con buona pace dei filologi col ditino alzato - e in parte, a differenza del dothraki, la lingua di Ennio e di Livio Andronico. Vale a dire, è una lingua che suona irriducibilmente aliena, che dà forma a gruppi consonantici misteriosi, e che insieme riecheggia memorie ancestrali, solletica i nostalgici degli studi classici, rivela, nel flusso gutturale, radici lessicali oggi germogliate. Ma soprattutto, come ogni lingua, fonda un immaginario, plasma il mondo che descrive, struttura il reale che la circonda. Si fa preziosissimo strumento di costruzione di mondi. Rima, con la sua paratassi, una visione cosmologica binaria; tratteggia, con la manciata di sostantivi astratti a disposizione, un codice di comportamento arcaico e seducente (che è quello omerico: dalla civiltà di vergogna alla civiltà di colpa); sostanzia una caratterizzazione dei personaggi che riversa efficacemente tensioni e pulsioni soggettive su dèi capricciosi, crudeli, partigiani della causa dell’uno o dell’altro (mai come qui, premono fuori campo dei letterali deus ex machina). E se Il primo re, come la tragedia sofoclea, insisteva sulla dicotomia fondante tra volere degli uomini e volere degli dèi, tra eroe tracotante ed eroe virtuoso, e ribadiva la necessità del fratricidio per dar luce a un impero, Romulus ricompone la frattura, e spezza una fratellanza di sangue solo per poi proporne una putativa: elegge il bromance a cellula embrionale della società, e il rapporto omosociale a sintesi della dialettica tra logos e caos, tra dio paterno e dea materna (incarnata per procura da una Silvia Calderoni invasata e magnifica). Romulus non somiglia a nulla. Ma, sotto sotto, ha più a che spartire con il peplum di Cottafavi - che riattivava i miti fondativi nostrani attraverso le forme imbastardite del kolossal hollywoodiano, che ricontestualizzava i modelli stranieri nella cultura figurativa europea per farne western arcaici e mélo primitivi - che con il revival ultratestosteronico e deliberatamente kitsch di 300 & Co.
Maria Sole Colombo
[pubblicata su Film Tv n° 50/2020]
EXTRA
Pilota è un podcast sulle serie tv realizzato da Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce grazie alla piattaforma Querty. Abbiamo pensato di riascoltarlo dall'inizio insieme ai lettori di questa newsletter, proponendone un episodio ogni settimana.
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