Fuori le serie! - #101: E se domani un'altra serie il tuo corpo riscalderà
Fuori le serie!
- di Nicola Cupperi -
#101 - E se domani un'altra serie il tuo corpo riscalderà
Ciao ,
questa è Fuori le serie!, la newsletter di Film Tv che ti segnala tutte le serie che partono, tornano o ricominciano in streaming ogni settimana.
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Una settimana di ritorni: non se n'era andata da nessuna parte, ma tecnicamente torna la Marvel con What If...?; torna Shaman King con un reboot senza Marco Masini; tornano i grandi documentari sportivi, come non se ne vedevano da The Last Dance, con Untold.
NETFLIX
Shaman King (Giappone, 2021)
dal 09/08/2021
Dai che questo ve lo ricordate. Era l'anime che nei piani della Mediaset di metà anni 2000 avrebbe dovuto affiancare Dragon Ball nella stimata programmazione animata postprandiale, diventando il nuovo culto nel doposcuola dei piccoli virgulti italiani che avevano bisogno di tutto il supporto morale possibile per affrontare i primi scampoli di orribile vita vera: le scuole medie. Erano talmente convinti di Shaman King, a Mediaset, che hanno chiamato Marco Masini a cantare la sigla. Incredibile. Shaman King qualche ragazzino delle nostre parti se l'è anche riuscito a comprare, ma niente successi generazionali in stile Goku e compagnia bella. Tanto che negli ultimi dieci anni chi ci ha più pensato a Shaman King? Marco Masini forse, tutte le volte che un frescone un po' brillo gli chiede di cantare la sigla. Corre voce che succeda a ogni concerto, e che il frescone sia sempre lo stesso. Un uomo che nella vita ha una sola missione, far pentire Masini di averla fatta fuori dal vaso. Quell'uomo è Giorgio Vanni, e questa era dedicata a tutti i raffinati estimatori di sigle di cartoni animati. Tornando a noi, possiamo permetterci tutto questo cincischiare perché questa nuova incarnazione di Shaman King non è né un sequel, né un prequel, né un'addenda, né un approfondimento. È, paro paro, un nuovo adattamento del manga da cui era fedelmente tratta anche la prima serie. La storia è sempre quella di Yoh, discendente di una millenaria famiglia di sciamani, in trasferta a Tokyo per partecipare al gran torneo che si svolge ogni 500 anni ed elegge lo Shaman King, che è anche il titolo della serie e quindi siamo tutti più tranquilli. Ovvio che ci sono combattimenti pirotecnici, perché nei manga giapponesi essere sciamani significa farsi possedere da spiriti leggendari, ottenere super poteri e pestarsi forte contro altri sciamani. Ed è altrettanto ovvio che c'è anche in ballo il destino del mondo – e della carriera di Marco Masini.
Untold (Usa, 2021)
dal 10/08/2021
Da una parte ci sono i film sportivi di fiction, che tendono a manipolare il fomento di noi appassionati invischiandoci in narrazioni retoriche e patetiche ma che il groppo in gola non te lo leva nessuno. Di tutt'altra pasta sono i documentari sportivi, che lo stesso fomento riescono a domarlo coinvolgendo anche le cervella. Per esempio, se all'epoca (nel 2004) avessero fatto un film sul famigerato episodio NBA conosciuto come Malice in the Palace – una mega rissa che vide alcuni cestisti, provocati da un lancio di birra, scalare gli spalti per una malsana scazzottata con i tifosi – sarebbe stato lo smarmellamento retorico e manicheo di un incidente sfaccettato. Invece l'episodio di Untold che racconta la vicenda, uno dei cinque che compongono questa bella miniserie doc, va a scavare prima di tutto nel contesto, e in secondo luogo nelle motivazioni dei protagonisti, alla cui versione dei fatti la lega di basket professionistico americano si è sempre dimostrata sorda. Quindi il resoconto non suona come quello ufficiale e superficiale, la cui sinossi è sempre più o meno stata “una manciata di afroamericani enormi, ricchi, viziati, fuori controllo e malintenzionati hanno assalito alcuni poveri tifosi incolpevoli e, come se non bastasse, bianchi”; bensì mostra una prospettiva un po' più vicina al reale, con sportivi professionisti che sono certamente strapagati e alle volte impuniti, ma che vengono trattati come animali allo zoo, e nel momento in cui fanno fare brutta figura allo stabilimento lanciando fango su visitatori maleducati, vengono puniti con una decisione unilaterale e draconiana che mette in pericolo le loro carriere. E deve pur c'entrare qualcosa il fatto che da una parte della barricata ci fossero ragazzi neri mentre dall'altra, con le redini in mano, ci fosse David Stern, la versione newyorchese di Sergio Mattarella, capo supremo della NBA dell'epoca. Fortuna che i tempi stanno pian piano cambiando, e fortuna che ci sono anche i documentari sportivi a raccontarcelo.
Al Rawabi School for Girls (Giordania, 2021)
dal 12/08/2021
Cara Giordania, inteso come la nazione, ti scrivo a nome dell'Italia per dirti che ti capisco. Anche i nostri autori televisivi, quando sono stati sommersi dai soldi e dalle opportunità di Netflix, hanno perduto la ragione e hanno fatto un po' come quei calciatori che firmano contratti milionari a 18 anni e spendono tutto in roba inutile ma che li fa sembrare fighi su Instagram. Quando Netflix ha cominciato a investire sulle nostre maestranze e sulle nostre storie, la nostra risposta è stata Baby, una roba molto derivativa, un po' fuori tono e generalmente inutile. Quindi capisco lo stimolo che avete nel voler fare a tutti i costi contenti i vostri nuovi finanziatori. Ma non è che copiare vagamente Élite, quella malvagia serie adolescenziale spagnola che non dà segni di voler finire, e appiccarne le premesse a un contesto mediorientale è andare un po' troppo sul sicuro? Ché alla fine Al Rawabi School for Girls pare proprio quello. Una scuola superiore tutta al femminile e tutta prestigiosa, popolata da principessine da Mille e una notte che sotto sotto sono delle vipere assassine. Il sottobosco studentesco dell'istituto Al Rawabi è comandato con pugno di ferro da Layan, figlia di Mazinga che insieme alle sue fide scherane bulleggia il prossimo come se non ci fosse un domani. La protagonista della serie però è Maryam, adolescente tutta d'un pezzo, diligente, brillante e operosa, che fa l'errore di rispondere a una provocazione di Layan, ricavandone un pestaggio mica male. Solo che Maryam c'ha abbastanza cazzimma addosso da non farsi intimidire, e dopo un fisiologico periodo di disperazione decide di passare al contrattacco, tremendo contrattacco.
Brand New Cherry Flavor (Usa, 2021)
dal 13/08/2021
Da qualche parte all'inizio degli anni '90 – rumore di fax e di monetine che vengono scagliate nei telefoni pubblici a gettoni – la giovane Lisa Nova sbarca a Los Angeles con il sogno di diventare una regista con i controciak. Dalla sua ha un'estrema fiducia nelle proprie doti cinematografiche, certezza che fa il paio con un paranoia esistenziale che le occupa invece il resto dell'esistenza. In tasca Lisa ha il cortometraggio perfetto, pronto per essere realizzato catapultandola nell'Olimpo di Hollywood. La ragazza, però, si affida al produttore viscido sbagliato, e si ritrova con il culo per terra. Invece di affidarsi, chessò, al sindacato registi o a quello dei produttori, o invece di tornarsene a casa e aspettare il 2015 per girarsi il film da sola sullo smartphone previo crowdfunding, Lisa decide di rivolgersi a Catherine Keener in modalità donna misteriosa, la quale le promette esattamente quello che ha sempre desiderato. Ah. Questo sembra il momento corretto per dire che Brand New Cherry Flavor è una miniserie horror. E quando in un horror ambientato nella Los Angeles di inizio anni '90 incontri una signora misteriosa che promette di realizzare il tuo sogno, o ha frainteso quello che hai detto e stai per diventare lo schiavo sessuale di una setta di prozie zitelle, oppure c'è qualche trucco sotto e il sogno verrà certamente realizzato, però in modalità incubo. E infatti Lisa si trova a scampare zombie, killer prezzolati, gatti con i superpoteri e uno strano tatuatore che ha la passione per le maledizioni. È Hollywood bellezza.
Il suo regno (Argentina, 2021)
dal 13/08/2021
Ciao argentini, come state? Tutto bene lì da voi? No, perché abbiamo visto che avete fatto questa serie di fantapolitica e ci siamo un po' preoccupati. Non fraintendete. Non siamo di quelli che scambiano la finzione per un racconto della realtà. Però siamo anche consapevoli che le distopie tendono a concentrare le percezioni della realtà, sfogandole in scenari ritenuti pseudo-probabili e che funzionano da catarsi. E voi, cari amici argentini, ve ne uscite con una serie il cui protagonista si chiama Emilio Vázquez Pena, un pastore religioso – facciamo un predicatore. Anzi, diciamo proprio un televangelista truffaldino – inopinatamente candidato a vicepresidente del paese. Di più: quando all'ultimo appuntamento della vincente campagna elettorale il suo compagno di candidatura, nonché futuro presidente nonché amico intimo del nostro pastore, viene assassinato da un fanatico con gli occhi sgranati, Emilio si ritrova improvvisamente a capo della nazione. Quindi, Argentina, ci stai dicendo di aver paura di un'eventuale terrificante teocrazia democratica di quelle in cui i santoni al potere continuano a essere corrotti però almeno benedicono le mazzette? Però allo stesso tempo fai di Emilio anche un protagonista che insiste per scoprire la verità sull'assassinio del suo caro amico e poi spuntano fuori sette sataniche e gente folle che fa cose folli? Non capisco Argentina. Davvero, va tutto bene?
Svaniti nel nulla (Francia, 2021)
dal 13/08/2021
Harlan Coben è un prolifico romanziere americano. Ha cominciato a pubblicare abbastanza presto, nemmeno trentenne e fresco di università, e da allora non si è più guardato indietro, costruendo la sua fama sulla saga del detective per sbaglio Myron Bolitar, agente di giocatori di pallacanestro che un giorno sì e l'altro pure incappa in omicidi da risolvere, e variando la sua bibliografia con altri thriller e gialli autoconclusivi. Fra questi anche Non dirlo a nessuno, nel 2006 adattato per il cinema da Guillaume Canet con un film dallo stesso titolo, The Stranger (da cui è tratta l'omonima miniserie Netflix con Richard Armitage) ed Estate di morte. L'eterna rincorsa di Coben al titolo di Romanziere di genere più adattato sullo schermo non avrà mai fine, tenendo conto che la corona appartiene all'indiscusso satrapo della cessione dei diritti Stephen King; ma lo scrittore originario del New Jersey può almeno vantare un'ottima fantasia geografica, avendo ispirato serie britanniche (The Stranger), polacche (Estate di morte) e adesso anche francesi, a testimonianza dell'universalità con cui riesce a scrivere storie di gente che viene ammazzata male. Svaniti nel nulla è tratta dall'omonimo romanzo ed è una miniserie in cinque puntate. La storia è quella di Guillaume, un ragazzotto trentenne a cui non ne va bene una. Ha visto morire il suo primo amore e suo fratello, e appena dopo essersi leggermente ripreso, succede che la sua nuova fidanzata gli scompare nel nulla durante il funerale della madre. Ma pensa te che carrettata di sfighe.
Valeria (Spagna, 2020)
seconda stagione dal 13/08/2021
Elísabet Benavent, valenciana classe 1984, è il gran mogol di tutti i laureati in scienze della comunicazione. Non solo ha rispettato la clausola scritta in piccolo in calce alla laurea diventando una influencer (sui social la trovate sotto il nickname Beta Coqueta), ma ha persino raddoppiato la posta facendo il botto con una serie di romanzi – la saga intitolata En los zapatos de Valeria, in Italia edita da Rizzoli nella tetralogia Nei panni di Valeria, Valeria in bianco e nero, Valeria allo specchio e Valeria senza veli – che trasportano la commedia romantica al femminile di Bridget Jones dalla Londra di metà anni '90 alla Spagna contemporanea. E alla fine, sicuro come le tasse, arriva Netflix a produrre una serie tratta dai romanzi. La vicenda, pare vagamente autobiografica, è quella della scrittrice Valeria, che dopo aver trovato un insperato successo con il suo romanzo d'esordio si ritrova avviluppata in una crisi stereofonica. Da una parte l'ispirazione mancante che la tiene bloccata alla prima manciata di pagine del secondo libro; dall'altra un rapporto con il marito Adrian che ha visto giorni migliori. Per uscire dalle doppie sabbie mobili, Valeria si rifugia fra le braccia pazzerelle delle tre amiche del cuore, Carmen Lola e Nerea, con le quali cercherà nuove ispirazioni e forse, non si sa mai, chissà, anche un nuovo e più soddisfacente rapporto sentimentale. Secondo i fan più accaniti dei romanzi, la seconda stagione farebbe meglio a ritrovare un po' dello spirito filologico tralasciato nelle sceneggiature della prima. Altrimenti ci parlate voi con tutte quelle 40enni in carriera che quando trovano un bicchiere sbeccato al ristorante fanno chiamare il proprietario, e (coerentemente) alla seconda volta di fila che sbagli ad adattare il loro romanzo preferito rischia si facciano brillare negli uffici della produzione.
PRIME VIDEO
Modern Love (Usa, 2019)
seconda stagione dal 13/08/2021
La premessa di Modern Love è faticosa, di quelle che fanno scaturire lo stesso mal di pancia che aveva Sir Edmund Hillary la mattina in cui lui e lo Sherpa Tenzing Norgay finivano il caffè giusto prima di cominciare la scalata dell'Everest. Si tratta di una serie antologica che si pone come obiettivo quello di esplorare l'amore in tutte le sue molteplici forme: sessuale, romantico, familiare, filiale, platonico e autoriferito. Che fatica. A innalzare le aspettative e le speranze, due dati. In primis, Modern Love è stata concepita (come adattamento tv di una rubrica pubblicata sul New York Times) scritta, diretta e prodotta da John Carney, il brav'uomo irlandese che qualche anno fa, da regista autodidatta scappato di casa e armato praticamente solo di passione, aveva scavalcato le palizzate di molti cuori duri con il musicarello moderno Once (Una volta). Secondo poi, per la sua prima stagione Amazon era riuscita a coinvolgere nel progetto un variegato cast saturo di nomi di qualità: la moglie di Shakespeare Anne Hathaway, la persona più divertente del mondo Tina Fey, il milionario Dev Patel, Essere Catherine Keener, Andy Garcia che è ancora vivo e lotta insieme a noi, How I Met Your Cristin Milioti, il miglior Moriarty di sempre Andrew Scott e non fatela arrabbiare se no vi mena Sofia Boutella. La faccenda è funzionata abbastanza da convincere Carney a tornare per una seconda stagione, in cui ad avvicendarsi in otto nuove storie d'amore moderno saranno (tra gli altri) Minnie Driver, Anna Paquin, Kit Harington, Garrett Hedlund e Miranda Richardson.
Star Trek: Lower Decks (Usa, 2020)
seconda stagione dal 13/08/2021
Mike McMahan è una brava persona. Prima di accettare di rischiare la vita creando una serie animata che fa parte del canone di Star Trek – la saga con la fanbase più appassionata ed esigente di sempre – McMahan ha passato i suoi anni da padawan dietro le quinte delle migliori serie animate per adulti. Prima Drawn Together e South Park, poi il fatidico incontro con Justin Roiland e la partecipazione alla scrittura di Rick and Morty – ha firmato, tra gli altri, l'episodio Cetriolo Rick, capolavoro di arte varia. Quindi è arrivata la naturale evoluzione in showrunner. McMahan ha creato insieme a Roiland Solar Opposites – Rick and Morty se fosse una sitcom, la direzione approva e consiglia – e infine si è scagliato verso il suo primo progetto in solitaria, il tanto temuto Star Trek: Lower Decks. Più che temuto, diciamo: a rischio di deludere un gran numero di persone che avevano aspettative folli. La serie è ambientata nell'anno 2380 e segue le vicende dell'equipaggio di supporto a bordo della U.S.S. Cerritos, la nave meno importante dell'intera Flotta Stellare. Fortunatamente per McMahon, e contrariamente a quanto era successo con la serie del 1973 (unico altro esempio di animazione nell'universo Star Trek), non gli è stato chiesto di creare un cartone specificatamente per bambini. È saltata fuori una serie buffa e fatta con amore (ma senza intenti parodici), che può essere gustata anche da chi non ha ben chiari gli innumerevoli eventi capitati nei quasi 60 anni di storia di Star Trek.
DISNEY+
What If...? (Usa, 2021)
dal 11/08/2021
Noi, che siamo personcine umili e a modo, se abbiamo voglia di un giochino per l'estate ci si prende il sudoku, o ci si compra gli arretrati di Film Tv per giocare a Otto (occhiolino occhiolino). Disney, che è l'incarnazione vendicativa della nostra noia esistenziale ed esiste al solo scopo di soggiogare le nostre deboli menti viziate, se ha voglia di un giochino per l'estate rompe il salvadanaio della sala mensa dei dirigenti (a tema Versailles) e con la manciata di mijoni di dollari in spicci che trova dentro ci produce una serie animata Marvel che non dice niente, ma lo dice bene. Nel senso: nell'ottica dell'universo cinetelevisivo Marvel (a sua volta mutuata dalle pratiche del fumetto), ogni tassello che lo compone aggiunge qualcosa alla mastodontica narrazione orizzontale progettata da sua illustrezza con cappellino da baseball Kevin Feige, l'architetto di tutto l'ambaradan. È così che ce l'hanno venduta, e la fotta da completismo è uno degli stimoli principali che fanno tornare gli appassionati anche se si tratta di una roba oggettivamente inutile come potrà essere una serie su Occhio di Falco. What If...?, invece, è una serie antologica che, episodio per episodio, riprende alcuni episodi chiave nella storia dell'universo cinematografico Marvel e li riscrive. E se... Captain Carter fosse stata il Primo Vendicatore?, per esempio, è il titolo del primo episodio, l'unico finora distribuito, ed è un racconto al fulmicotone di quello che sarebbe successo se fosse stata Peggy Carter a farsi iniettare il siero della super soldatessa, relegando Steve Rogers al ruolo (comunque mica male) di Iron Man ante litteram. Il giochino, seppur sterile, è indubbiamente divertente, specialmente per i più devoti; per gli altri è un buon esempio di animazione occidentale lussuosa e con un'anima votata all'azione spaccatutto.
STARZPLAY
Hells (Usa, 2021)
dal 15/08/2021
Il caro vecchio wrestling. Quella cosa che o ami alla follia – e a cinquant'anni sei ancora lì fedelissimə a spendere tutti i tuoi soldi in gadget e pay per view senza perderti nessuno degli appuntamenti settimanali della tua promozione preferita, ma allora ti chiami Billy Corgan e puoi permettertelo – o non ti interessa manco per niente, sentimento che si mischia a un certo disgusto le poche volte che pensi a questi adultə bambinə che fanno i matti sul ring. Tertium non datur, in apparenza. Ma in realtà vi dico che si può apprezzare l'arte circense del wrestling anche senza essere dei fanatici. Basta partire dal magnifico presupposto che il wrestling non è altro che una soap opera in cui tizi e tizie in costumi bizzarri si picchiano per davvero (ma non per davvero), realizzando il sogno frustrato di qualsiasi personaggio da telenovela. Il concetto principale della disciplina, ereditato dagli albori carnascialeschi, è quello della cosiddetta keyfabe, la realtà narrativa raccontata sul ring – a colpi di slogan, insulti creativi ma anche, perché no, con storie narrate tramite le botte – e che è molto più vera e importante della realtà, quella di tutti i giorni. I wrestler tendono a non uscire mai dal loro personaggio, anche se oggi il precetto religioso è un po' meno rigido rispetto al passato – lo squarciamento del velo è avvenuto dopo un lungo processo per smercio di steroidi che ha costretto l'allora WWF a svelare, in documenti pubblici, i segreti del mestiere. La keyfabe del wrestling è popolata da due tipi di personaggi: i face, ovvero i beniamini del pubblico percepiti come i cosiddetti buoni (non per questo pacifisti); e gli heel, quelli contro cui gli spettatori possono sfogare tutti i boo che hanno in corpo. La divisione è canonica, e gli atleti/performer imparano con l'esperienza e con il carisma a manipolare nell'uno o nell'altro senso le folle urlanti. In questa serie creata da Michael Waldron (già sceneggiatore della fucina Marvel), l'ex Green Arrow Stephen Amell interpreta Jack Spade, uno dei due eredi della Duffy Wrestling League, federazione locale che organizza spettacoli in Georgia. Oltre a essere proprietario della DWL, Spade ne è anche il wrestler principale. Ma se sul ring veste i panni dell'heel, nella vita vera è un perfetto marito e padre di famiglia, una figura solida e responsabile. Agli antipodi c'è il fratello minore Ace, anch'egli wrestler di punta della DWL nei panni del face, anche se fuori dal ring è un alcolista problematico e fuori controllo.
- questa rubrica settimanale esce il venerdì per consigliarti come distruggerti di binge watching intensivo durante il fine settimana -
Da (meno) 5 scatolette di pelati a (più) 5 avocado, un voto a settimana per una serie presentata in questa newsletter (in questo numero o in passato).
Untold (Netflix)
Quattro avocado e mezzo su cinque a Untold. Non solo la rissa fra cestisti e tifosi ubriachi e molesti, ma anche la storia di Mardy Fish – promessa del tennis americano la cui carriera è stata stroncata dagli attacchi di panico; quella di Caitlyn Jenner ai tempi delle Olimpiadi del '76, quando usava un altro nome che non possiamo scrivere; la storia degli abusi subiti da Christy Martin, che negli anni '90 appariva sulle copertine dei giornali di settore osannata come la migliore boxer in circolazione, ma nel frattempo subiva le pene dell'inferno per mano del marito e allenatore Jim Martin; e la ragguardevole vicenda della peggior squadra di hockey di sempre, i Danbury Trashers, i cui loschissimi giocatori (che si portavano appresso soprannomi del calibro di One Eye Willy e The Nigerian Nightmare) venivano spesso pagati con buste di contanti da un proprietario mezzo mafioso e ancor più losco di loro.
Non c'è nulla che ti convince, tra le serie di questa settimana? Prova una S01! Una prima stagione da recuperare nel weekend. Questa settimana...
[Netflix]
Nadia risorge. Non è Gesù, però, o almeno non dovrebbe: programmatrice di videogame, newyorkese di origini russe, un’esistenza tutta sesso droga & rock’n’roll, investita da un taxi mentre insegue il suo gatto (di Schrödinger?), non necessita dei tre giorni di prammatica per ritrovarsi inspiegabilmente rediviva dove tutto è iniziato, cioè davanti allo specchio di un bagno, durante la festa per il suo 36° compleanno, mentre qualche invitato bussa insistentemente alla porta e Gotta Get Up di Harry Nilsson risuona nell’aria. Nadia muore: ancora, e ancora, in modi creativi e vari, dopo pochi minuti o dopo molte ore, e ogni volta, un istante dopo il decesso, è di nuovo lì, davanti allo stesso specchio; scartate le ipotesi “trip andato male” ed “esaurimento nervoso”, e constatata l’apparente impossibilità di spezzare il ciclo o sopravvivere più di un giorno, che fare di quest’inedita condizione esistenziale? Sì, Russian Doll è tipo Ricomincio da capo (non a caso Netflix ha deciso di pubblicarla il 1° febbraio, quando il 2 è il Giorno della marmotta), con qualche tono in più di umorismo nero e una sfumatura in meno di (classico) romanticismo; ma è una serie, non un film, e dunque parla un linguaggio intrinsecamente costruito sulla ripetizione e la variazione dell’identico (come la vita? A un certo punto ce lo suggerisce anche Nadia stessa: è sulla reiterazione di schemi, sulla routine che edifichiamo le nostre identità), peraltro di questi tempi messo a dura prova dall’abitudine del binge watching che tende a trasformare gli show tv in lunghi film. Russian Doll, tra le altre cose, tenta una risposta al paradosso: è certo una visione da streaming, otto puntate da meno di mezz’ora, da consumare a sorsi veloci per meglio apprezzare i modi in cui molti dettagli dialogano tra loro nel corso della stagione; ma non rinuncia a sfruttare la dimensione episodica, per amplificare un gag (le tante “buffe” morti iniziali) o per sorprendere ribaltandolo in corsa (il momento in cui morire diventa davvero drammatico, e ogni carica slapstick scompare), per scivolare in un nuovo punto di vista (la rivelazione a fine terzo episodio) o per zigzagare tra i generi (è una commedia nera? Fantascienza? Body horror? Dramma psicologico, o familiare? Tutto quanto?). Creata dall’attrice protagonista Lyonne (strepitosa) con la sceneggiatrice Headland (The Wedding Party) più un ulteriore input creativo-produttivo di Amy Poehler, Russian Doll, a pensarci bene, dice già tutto di sé dal titolo: che può riferirsi alla sua eroina (a tutti gli effetti, una “bambola russa”) come alla sua struttura a strati (cioè a matrioska), che a sua volta rispecchia la scrittura iterativa videoludica e la sovrappone alla prigionia ripetitiva del trauma irrisolto e dell’ossessione, lasciando anche un margine interattivo allo spettatore, che può decidere da sé a quale livello giocare. Che poi, un passaggio dentro l’altro, Russian Doll riveli la propria principale debolezza in un’essenza derivativa, fa niente: anche al cuore della matrioska, lo sappiamo, c’è solo un’altra bambola, più piccola. Resisteremo per questo alla tentazione di aprirla e guardarci dentro?
Alice Cucchetti
[pubblicata su Film Tv n° 08/2019]
EXTRA
Pilota è un podcast sulle serie tv realizzato da Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce grazie alla piattaforma Querty. Abbiamo pensato di riascoltarlo dall'inizio insieme ai lettori di questa newsletter, proponendone un episodio ogni settimana.
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Notizie e curiosità dal mondo delle serie in questa calda settimana preferragostana.
Mentre chiudiamo la newsletter, arrivano sorprese.
Abbiamo cambiato idea, ci spostiamo.
Addio, mrs. Hudson.
Per ora niente serie, ma non disperiamo.
Non è esattamente una novità, ma queste sono le loro serie preferite.
Un premio per Debbie Allen.
E se fosse andata così che ne sarebbe stato della serie?
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