Fuori le serie! 🛋️ #142 - Pensavo fosse The Wire, o un calesse, e invece era...
Questa settimana ha in canna la nuova miniserie di quelli che hanno fatto The Wire (si intitola We Own This City ed è molto bella), ma anche la terza stagione di Atlanta (che forse è ancora più bella) e la seconda stagione di Only Murders in the Building.
Tecnicamente ancora delle miniserie
NETFLIX
I misteri del Café Minamdang (Corea del Sud, 2022)
dal 27/06/2022
Questo K-Drama qui è tratto dal web-romanzo Minamdang Sagun Soochub, pubblicato da Jung Jae-Han nel 2018. Lo so che non si fa – sarebbe come dare retta a quelli che dicono «Oh povera Italia, chissà cosa direbbe Garibaldi se ti vedesse ora!». Te lo dico io cosa direbbe ziə: niente, non direbbe niente, dal momento che è un tizio nato nel 1807 e molto probabilmente penserebbe solo a spararti una schioppettata in testa scambiandoti per un alieno finché tenti di fargli una foto con lo smartphone – ma è certo che se qualcuno avesse scritto quella frase iniziale là sopra nel 1995, probabilmente sarebbe stato internato. Ma così è la vita. Cambia. E adesso le serie coreane vengono prodotte internamente da Netflix e vengono tratte da romanzi che sono stati pubblicati esclusivamente online. La storia, qua, è che c'è l'ex criminologo della polizia – quello che i telefilms americani chiamano profiler – Han-joon, il quale si è riciclato come finto sciamano barra psichico. In pratica sfrutta le sue doti nella lettura del linguaggio del corpo e delle espressioni facciali (la cinesica) per dedurre informazioni sulla gente superstiziosa che si rivolge a lui, convincendoli di essere in contatto con gli spiriti. Han-joon porta avanti la sua impresa truffaldina (ma anche un po' socialmente utile) con la complicità della sorellina Hye-joon, talentuosa hacker. Potrebbe anche bastare così, in effetti, ma stiamo pur sempre parlando di un K-Drama; e quindi, durante uno dei suoi lavori, Han-joon conosce la giovane detective Jae-hee – la quale, in realtà, starebbe investigando sulle di lui truffe – con cui, chiaramente, si sviluppa quell'attrazione che sai essere automatica quando i due personaggi più attraenti di una serie si incontrano. Però Jae-hee deve anche dare la caccia a Han-joon! Accidenti. Che situazione sbarazzina. Non sembra nemmeno di rivedere Killing Eve. Scherzo. Dai coreani ci si possono sempre aspettare cose divertenti, anche quando sono derivativi e stanno giusto cercando di mungere fino allo sfinimento le povere mammelle della giovenca ribattezzata K-Drama.
Avvocata Woo (Corea del Sud, 2022)
dal 29/06/2022
Biscoreano! Stavolta, però, invece di saccheggiare dagli archetipi di Killing Eve, si va a caccia di qualcosa di ancora più ambizioso: fare un Dr. House di Corea, con gli avvocati al posto dei medici, un autismo clinicamente confermato al posto di un autismo mai diagnosticato e fatto passare come generica fascinosa stronzaggine, e senza la dipendenza da antidolorifici ché nella lontana Asia le droghe sono un problema di cui non si parla, MAI. Qui c'è Woo Young-woo che è una giovane avvocatessa nello spettro dell'autismo, in procinto di iniziare a lavorare per una delle più grandi firme legali del paese. Young-woo, però, non è la classica burba neo-laureata a cui fare del mobbing chiedendo fotocopie inutili o facendole riscaldare al microonde dello spazio comune il branzino con la caponata della sera prima. Young-woo è un genio della giurisprudenza dal quoziente intellettivo fuori scala (164), dalla memoria perfettamente eidetica e in grado di risolvere ogni impiccio riguardante ogni caso, nonostante i rapporti personali con colleghi e clienti siano resi leggermente più macchinosi per via del suo disturbo. Fortuna che la ragazza scopre in fretta l'amicizia, la solidarietà e il sostegno di un altro giovane collega, che la accoglie con gentilezza in ufficio e beccami gallina se non finirà, entro la conclusione della serie, con il dirle che le vuole del bene e che vorrebbe tanto provare a darle un bacino, di quelli con le labbra, da sopra la mascherina. Che teneri questi ragazzi.
Bastard!! L’oscuro dio distruttore (Giappone, 2022)
dal 30/06/2022
Adesso facciamo un esercizio molto semplice. Il candidato che non abbia mai sentito nominare Bastard!! L'oscuro dio distruttore pensi brevemente a ciò che si aspetta da questo cartone, conoscendone solamente il titolo ed essendo consapevole che si tratta dell'adattamento di un manga di enorme successo (più di 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo) creato da Kazushi Hagiwara e pubblicato in 27 volumi (in teoria non ancora completati) fra il 1988 e il 2010. Se il candidato ha scritto “rivisitazione shintoista dell'apocalisse cristiana, arricchita di riferimenti sghembi al medioevo europeo e omaggi alla scena metal”, che paura: lei, signorə, è unə sensitivə e ci terrei gentilmente a conoscere i numeri della prossima estrazione del lotto. Per tutti gli altri, sì: esiste un manga giapponese ambientato in un mondo caduto in rovina 400 anni prima e ritornato agli infausti del medioevo, in cui luoghi e personaggi sono omaggi alla musica metal. Tutti sono in guerra, nel mondo di Bastard!!, e specialmente il regno di Metallicana sembra viversela peggio degli altri. Almeno finché la figlia adolescente del gran sacerdote di Metallicana, Tiara Nort Yoko, non decide di prendere un'iniziativa alquanto pericolosa: resuscitare il mitologico stregone Dark Schneider, uno che un tot di anni prima stava per conquistare il mondo alla guida del suo esercito demoniaco prima di essere fermato dal padre di Yoko, che lo ha imprigionato nel corpo di Rusie Renren, adolescente orfano cresciuto insieme alla figlia. E poi, occhei che ci sono le guerre e tutto quanto, ma come sempre quello è solo l'inizio di qualcosa di più clamoroso: i nostri, infatti, dovranno prima o poi vedersela con Anslasax, il dio distruttore che 4 secoli prima prima aveva mezzo raso al suolo il mondo.
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Terminal List (Usa, 2022)
dal 01/07/2022
Chris Pratt veste i panni del suo sogno bagnato sin da quando era un tenero ragazzotto pacioccone che faceva le capriole e le flatulenze per farci ridere, per poi decidere di dichiarare guerra ai carboidrati e, con l'aiuto di Gesù, digievolversi in un manzo da competizione 100% USA USA USA. Vale a dire che, in Terminal List, Chris Pratt è il capitano di corvetta James Reece, leader della squadra Alpha (non c'erano dubbi) del Team 7 dei SEAL, impegnato in Siria con la missione 644 – nome in codice Spada di Odino – nel tentativo di scovare uno dei membri chiave della Forza Quds, conosciuto come Jahan Kahani il chimico. Dritta sicura, qualcuno mormora ai Marines che Kahani si trova proprio alla fine di quella rete di tunnel sotterranei dove sarebbe così facile preparare un'imboscata. Il plotone è talmente carico a molla che si catafionda – un mix tra catapultarsi e fiondarsi – nel luogo indicato. E niente: era un'imboscata, c'erano delle trappole esplosive ad aspettarli, un commando armato fino ai denti ad accoglierli e tutti i SEAL – tranne Reece e un altro, che comunque farà quasi subito una brutta fine – finiscono morti ammazzati. Reece se la cava, tra virgolette, con una commozione cerebrale e un trauma emotivo mica da ridere. Tornato in patria, comincia ad annusare qualcosa di strano: il funerale dei commilitoni era quasi deserto, una giornalista continua a tampinarlo, il suo collega sopravvissuto si suicida con una pistola che non avrebbe mai usato. Cerca di avvisare i superiori, ma il problema è che la sua memoria fa cilecca (vedi sopra, alla voce commozione cerebrale e trauma emotivo) e i piani alti non si fidano del suo giudizio. O forse c'è in atto un complotto per eliminare tutto il Team 7 e insabbiare le tracce? O magari è solo il cervello sbatacchiato di Reece che si sta immaginando tutto? Oppure, e dimmi se ti sembra così assurdo, sono vere entrambe le precedenti e per tutta la serie ci verranno insinuati dubbio e paranoia? Chissà. Resta il fatto che, dopo un paio di puntate, ancora non si sa cosa sia la Lista finale del titolo, e un po' la cosa mi toglie sicurezze. Ma di sicuro c'è che se il vostro aggettivo preferito per una serie è “muscolare”, Terminal List fa al caso vostro.
DISNEY+
Baymax! (Usa, 2022)
dal 29/06/2022
A parte essere tutte proprietà intellettuali di Disney, cos'altro hanno in comune Il libro della giungla, Lilo & Stitch, Il re leone, Winnie the Pooh, La carica dei 101, Alice nel paese della meraviglie e, a partire da questa settimana, Big Hero 6? Sono quei sette film del canone Disney i cui personaggi pucciosi hanno venduto talmente tanti pupazzetti che, per proseguire con gli incassi pazzi, è stato necessario dedicare loro multipli spinoff televisivi. Si iscrive appunto al club anche Big Hero 6, che la sua serie l'aveva avuta (quasi fuori tempo massimo) solamente nel 2018, quattro anni dopo l'uscita del film. Se Big Hero 6 - La serie, però, funzionava quasi da sequel diretto del lungometraggio originale, questa Baymax! è effettivamente lo spinoff che la quota di scontrini battuti per merito dell'eponimo robottone tenerone si meritava. A Baymax hanno finalmente tolto il chip da battaglia cui aveva dovuto ricorrere per salvare il mondo, ed è tornato al suo compito originario: prendersi cura, con adorabile goffaggine e fin troppa buona volontà, degli esseri umani che ne hanno bisogno. Anzi. Baymax è talmente tenero che, in una puntata, vuole a tutti i costi dare una mano anche a un gattino riottoso. Molto convenientemente, uno dei primi stralci di episodio trapelati all'opinione pubblica è il seguente: Baymax corre in aiuto di Sofia, ragazzina delle medie che sogna di spaccare culi di passeri allo spettacolo di fine anno della scuola, ma che nei giorni a ridosso dell'evento si trova a dover fare i conti con il suo primo ciclo, e il supporto del robottone comprende anche lo shopping di assorbenti. Al supermercato, uno sperduto Baymax chiede delucidazioni sugli assorbenti alle astanti, fra cui è presente anche una persona transgender. Apriti cielo. I conservatori americani sono impazziti, hanno cominciato ad attaccare la serie con le solite scorregge dalla bocca sulla propaganda gender e sulla manipolazione delle nuove generazioni per farli diventare tutti gay, o chissà quale altra mattata reazionaria. Disney, nel frattempo, è lì seduta sul trono, di spalle, in penombra, mentre accarezza un gatto bianco e sorride sorniona pensando ai soldi che ricaverà da questa polemica.
Making History (Usa, 2017)
dal 29/06/2022
E se vi dicessi che nel 2017 Fox ha prodotto e trasmesso una serie buffa sui viaggi nel tempo, creata da Julius Sharpe (già sceneggiatore per I Griffin), prodotta da quei prestidigitatori di cose belle Phil Lord e Chris Miller, e diretta da Jared Hess (regista di Napoleon Dynamite e Super Nacho, film a cui volere bene)? Rispondereste con un giusto esticà. Ma se vi dicessi anche che Fox, questa serie buffa dalle ottime recensioni, l'ha prima mutilata – accorciando da 13 a 9 episodi la durata della prima stagione – e quindi accettata, nel senso di “presa a colpi di accetta di modo da essere brutalmente spiccata dal corpo della programmazione”, senza nemmeno possibilità di replica e prima ancora di garantirle una distribuzione internazionale? Ecco, sappiate che a me è dispiaciuto un poco dover aspettare cinque anni per vedere pubblicata in Italia – grazie a Disney, nuova casa dei prodotti Fox – questa adorabile scemata, fatta da gente tenera che sa sempre fare bene il suo mestiere anche con pochi soldi e anche con i vertici che mettono bastoni fra le ruote. Making History è la storia del tuttofare Dan, impiegato senza arte né parte al Bedford College, lo stesso dove il brillante padre insegnava fisica. Il suddetto brillante padre, oltretutto, è lo stesso che si è inventato una macchina del tempo fatta a forma di gigantesca borsa da palestra rossa. Maccosa? Dan, da buon bamboccione irrisolto qual è, adopera la macchina del tempo a uso ridere; finendo pure per incapricciarsi di Deborah Revere, figlia di Paul, il quale nel 1775 è stato una figura cardine fra i patrioti che hanno mobilitato la Rivoluzione contro gli inglesi. L'intrusione di Dan nella vita della figlia, però, impedisce a Paul di portare a compimento il suo ruolo rivoluzionario. Il tuttofare pirla si trova nella condizione di dover riaggiustare la Storia senza saperne nulla, e coscrive l'amico professore Chris per aiutarlo a rimettere in sesto la linea temporale.
NOW
We Own This City - Potere e corruzione (Usa, 2022)
dal 28/06/2022
Attenzione. Messaggio importante per tutte le belle persone all'ascolto che attendevano questa serie come si brama una cedrata ghiacciata in un mezzogiorno di agosto: non aspettatevi The Wire. È molto vero, We Own This City - Sottotitolo pleonastico in italiano è l'ennesima collaborazione fra quel gran pezzo dell'Ubalda di David Simon e George Pelecanos – oltre al capolavoro The Wire, hanno firmato insieme anche Treme e The Deuce. Ed è altrettanto vero che We Own This City - Sottotitolo retorico non voluto dagli autori è proprio ambientato nei ranghi della polizia di Baltimora, la stessa identica premessa di The Wire. Gli stessi autori! Le stesse faccende! Perdiana, è un altro The Wire! Ecco, no. Nonostante le finte credibili, We Own This City - Sbirri cattivi e sbirri cattivissimi non è un altro The Wire. E non perché sia particolarmente più brutto o meno riuscito, eh. Anzi. Ma proprio perché questa è una miniserie, quindi è costruita con una grammatica seriale totalmente diversa rispetto all'omerico racconto di The Wire, ramificato in cinque stagioni e 60 episodi. We Own This City - Terrore e raccapriccio chiude il suo ciclo narrativo dopo sei episodi, e non ha bisogno dell'incredibile – e forse irripetibile – voluttuosità di racconto che The Wire sviluppava come le spire di un lunghissimo serpente. Per questa miniserie, Simon e Pelecanos si sono fatti ispirare dai fatti di cronaca raccontati nell'omonimo libro-reportage pubblicato dal cronista del Baltimore Sun Justin Fenton. Il libro riporta le poco specchiate vicende della Gun Trace, una task force della polizia di Baltimora – metropoli statunitense poco distante da Washington D.C. e famigerata per il livello di criminalità, organizzata e non – che nel giro di pochi anni è stata smascherata come associazione a delinquere. Otto agenti guidati da un leader carismatico, il sergente Wayne Jenkins (Joe Bernthal), sfruttavano le libertà concesse alla task force – cavalcando l'impunità, l'omertà e la deresponsabilizzazione che storicamente ammantano l'operato delle forze dell'ordine statunitensi – per fare letteralmente i loro porci comodi, oltretutto con la convinzione di essere nel giusto.
Signora Volpe (Gb, 2022)
dal 01/07/2022
Questa serie inglese si chiama proprio così anche in originale, Signora Volpe, perché la protagonista è una super spia del MI6 di nome Sylvia Fox che, delusa e stanca del suo lavoro, decide di prendersi una pausa sabbatica raggiungendo la nipote in Italia per rigenerarsi grazie al clima e al buon cibo; arrivata in Umbria, uno sbirro locale di quelli con il cappello buffo la ribattezza in quel modo del titolo per il semplice motivo che, si sa, tutto suona più bello in italiano. Ed è già il massimo che si può desiderare da una serie britannica – la civiltà più colonialista e condiscendente e snob a memoria d'uomo – ambientata completamente in Italia, oggettivamente uno dei posti e dei popoli al mondo più facili da rinchiudere in uno stereotipo gradevole da spremere fino all'ultima goccia. Siamo sensuali, accoglienti, belli da sentire e da vedere, fanfaroni, estroversi, pigri, furbi, generosi, sorridenti, mamma, pastasciutta, corruzione, mafia, bei panorami e clima temperato mediterraneo d'altitudine. Insomma. Anche se ci limitano a una serie di macchiette trite e ritrite, siamo comunque più interessanti di loro. POPOPPOPPOPPOPPOPOOO vi inventate il calcio e neanche un Europeo riuscite a vincere, pistole. Pardon. Sylvia Fox arriva in Italia per ripigliarsi dalla sua vita frenetica e, visto che c'è, partecipare al matrimonio della nipote. Solo che le uccidono il fidanzato della nipote, e trovano pure un cadavere in fondo al lago che sta nel giardino di casa sua. Una doppietta che costringe la Signora Volpe a recuperare la lente d'ingrandimento appesa al chiodo per ricominciare a investigare come si deve. Figurati se gli italiani riescono a risolvere qualcosa senza l'aiuto di un inglese. Per il sigaro di Sir Winston Churchill, come sempre c'è bisogno di un suddito di Sua Maestà per aiutare i selvaggi a riportare l'ordine.
Ufficialmente promosse a serie
NETFLIX
The Upshaws (Usa, 2021)
seconda stagione dal 29/06/2022
Problema: quanti comici affermati e davvero bravi servono per riuscire a trasformare un formato stantio come quello della sitcom famigliare con le risate del pubblico in una serie moderna e rilevante? Andando per esclusione e per esperienza, possiamo già dire che un solo comico affermato e davvero bravo non è abbastanza – pur essendo molto amate e longeve, ad esempio, sitcom come Tutto in famiglia (Damon Wayans) e Tutti amano Raymond (Ray Romano) non possono proprio essere considerate né “moderne” né “rilevanti”, al massimo “non troppo fastidiose e/o dannose tipo Quell'uragano di papà (Tim Allen)”. Anche la produzione di The Upshaws ha fatto lo stesso conto, e per andare sul sicuro ne ha presi due di comici affermati e davvero bravi: Mike Epps è Bennie, il dissestato capo famiglia dal cuore d'oro che con il solo stipendio di un'arrancante officina deve mantenere un figlio primogenito che lo odia, due figliolette più piccole alle soglie dell'adolescenza che tendenzialmente non lo schifano, e un altro figlio illegittimo tredicenne avuto quando lui e la moglie erano in pausa di riflessione. Il tutto è supervisionato dalla mitologica Wanda Sykes, la persona con la faccia inespressiva più divertente del mondo, che qui (oltre a essere creatrice e produttrice esecutiva) interpreta Lucretia, cognata di Bennie che non rispetta più di tanto il marito della sorella, non perde occasione per ricordarglielo, ma sotto sotto ci vuole il bene. Il risultato dell'esperimento è una sitcom vietata, in patria, ai minori di 14 anni non accompagnati (volano “shit” neanche fosse un raduno di piccioni in piazza San Marco), che parte da premesse già viste (famiglia disastrata eppure positiva) ma portate ai limiti del genere. Nonostante tutto, però, il livello di comicità è sempre quello da “mia sorella ha un colloquio di lavoro, quindi le sbottono un po' la camicetta per farle mostrare le tette” che fa tanto 1997.
DISNEY+
Only Murders in the Building (Usa, 2021)
seconda stagione dal 28/06/2022
Siamo arrivati a quel punto nella storia dell'umanità in cui i podcast true crime sono diventati talmente una fissa per uno zoccolo durissimo di amanti del genere, da rendere necessaria una serie buffa che abbia per protagonista questa faccenda qui. Se il prossimo passo è una serie tutta incentrata sui video dei gattini o di capre che urlano, ci sto; nel caso in cui stessimo veleggiando verso una sitcom tutta scritta e recitata in corsivo invece, gradirei saperlo prima per organizzarmi e farmi brillare per tempo davanti a un ex Blockbuster. Una giusta fine gloriosa per un monaco del VHS. La fortuna di Only Murders in the Building è che è fatta dalle persone giuste. L'ha creata Steve Martin, che interpreta anche uno dei tre protagonisti (un tenero attore anziano, che più che di fallimento soffre di obsolescenza) al fianco del caro amico Martin Short (nei panni di un eccentrico – e fallito, lui per davvero – regista e autore di Broadway) e della sorprendente Selena Gomez, che tutta sola ha retto gran parte della gravitas drammatica nell'arco narrativo della prima stagione. Tutti e tre, in un modo o nell'altro, abitano in un lussuoso e giganorme condominio newyorchese, di quelli che hanno talmente tante persone dentro da essere organizzati praticamente come una circoscrizione. In questo gigacondominio succede un misterioso omicidio che, guarda caso, è collegato alla giovinezza di Selena Gomez. I tre nuovi strani amici vogliono investigare per conto proprio, e con fiero spirito americano decidono di farlo a una condizione: fatturare. L'indagine va di pari passo con la produzione di un podcast true crime (intitolato Only Murders in the Building, occhiolino occhiolino) che, in breve, diventa uno show di culto in tutta la città. Grandi attese per questa seconda stagione, anche per capire se la formula (azzeccata, ma magari stava meglio nel reame del Una tantum) funziona anche con ripetizioni e variazioni sul tema.
Atlanta (Usa, 2016)
terza stagione dal 29/06/2022
Tecnicamente e strettamente, la storia di Atlanta sarebbe quella di Earn – interpretato da Donald Glover/Childish Gambino, talento neo-rinascimentale dell'intrattenimento che qui è anche creatore, regista, produttore, sceneggiatore e supervisore delle musiche – un trentenne ai passi, che ha sprecato l'occasione di una vita sia a Princeton (da cui è stato espulso) sia con la fidanzata storica che, nonostante gli abbia dato una figlia, al momento non ha alcuna voglia di avere a che fare con lui. Il quid della serie – di nuovo: solo tecnicamente e strettamente – starebbe nella scelta di Earn di ottenere il superpotere di un'ambizione, stimolo che gli arriva nel momento in cui si presenta un'occasione considerata facile: suo cugino Albert, infatti, sta cominciando a fare onde nella rinomata scena rap di Atlanta con lo pseudonimo di Paper Boi, ed Earn vuole a tutti i costi diventare il suo manager e godere del riflesso del successo. In realtà, Atlanta è una serie totalmente anarchica, autarchica e libera da ogni vincolo creativo e commerciale. È un progetto – targato FX, ex sussidiaria Fox ora in mano a Disney, la quale (vivaddio) non si è (ancora) azzardata a rivederne lo spirito “autoriale” – per il quale Glover può muoversi a piacere, esplorando metodi narrativi, stili, invenzioni visive, tempi (tre stagioni in sei anni), idee di comicità, di gioco fra i generi e di poetica. Il tutto con in mente il vero santino della serie: raccontare cosa significhi essere nero oggi negli Stati Uniti (spoiler: non è ancora il massimo, nonostante tutto), facendo di Atlanta – la metropoli black per eccellenza, culturalmente parlando – un personaggio a tutti gli effetti, più che uno sfondo.
Black-ish (Usa, 2014)
ottava stagione dal 29/06/2022
Nel suo periodo d'oro, dagli anni '60 fino alla fine del secolo, la televisione è stata anche una finestra educativa sul diverso – distorta dai bisogni dell'intrattenimento e dalla sua intrinseca capacità di semplificare e stereotipare, ma non si può avere tutto dalla vita – per tutte quelle persone che non potevano né farne esperienza, per problemi geografici, né studiarlo. Non ci si deve azzardare a dire che I Jefferson o Willy, il principe di Bel Air abbiano avuto lo stesso impatto culturale e sociale di Martin Luther King; ma hanno sicuramente avuto il merito di introdurre sul piccolo schermo e nell'immaginario collettivo la quotidianità del diverso, aiutando a diffondere il concetto che chi ha una faccia e una cultura differente dalla tua, non è un alieno, né una minaccia. Il dato di fatto disarmante è che, negli anni 2010, una sit-com come Black-ish faccia esattamente (un po' meglio, via) quello che facevano I Jefferson a cavallo fra gli anni '70 e '80. Il dato di fatto esilarante è che c'è sempre bisogno di ottime sit-com ben ancorate nel presente e in grado di non essere eccessivamente fini a se stesse.
Da (meno) 5 scatolette di pelati a (più) 5 avocado, un voto a settimana per una serie presentata in questa newsletter (in questo numero o in passato).
Un amore senza tempo - The Time Traveler's Wife (NOW) 🥑🥑
Due avocado a The Time Traveler's Wife, nella versione seriale di Steven Moffat e non nell'adattamento cinematografico con quel FILF da competizione di Eric Bana. Questa trasposizione scritta dal babbo del Dr. Who di nuovo millennio è stata abbastanza disprezzata fra la critica anglofona. Un po' perché Moffat, pur rimanendo abbastanza fedele al testo originale, decide di tagliare (molto) corto, fermandosi praticamente a due terzi (forse anche prima) rispetto alla fine dell'omonimo romanzo pubblicato nel 2003 da Audrey Niffenegger e del film che da esso è stato tratto. Forse per lasciare spazio a una seconda stagione. Forse perché a Moffat veniva comodo così. Chissà. Ma soprattutto è stato odiato perché nel 2022 è molto complicato far passare come romantica la storia d'amore sbocciata fra un 40enne e una bambina di sei anni. Solo che messa così fa effettivamente impressione, ma non rende giustizia. Il protagonista Henry è uno con un difetto genetico che scopre di poter viaggiare nel tempo, ma senza poter controllare la propria destinazione: decide tutto il suo inconscio, che è gravitazionalmente attratto dai momenti, i luoghi e le persone più importanti per Henry. Quest'ultimo, nella sua scompigliata timeline personale, conosce l'anima gemella Clare quando ha 28 anni; e da quel momento non è in grado di controllarsi, finendo con l'andare a trovare la ragazza per ben 152 volte nel periodo in cui lei ha fra i sei e i diciotto anni. Continua terribilmente a suonare come pedofilia, ma Moffat se la cava egregiamente, inserendo anche un accenno al grooming in uno dei dialoghi fra i due amanti. The Time Traveler's Wife è un melodrammone dai toni carichissimi – giuro che ci sono almeno un paio di scene prese di peso da Il giovane Ratzinger
– che però fa il suo sporco mestiere, raccontando a modo suo l'amore in rapporto al tempo, personale e oggettivo.
Extra
Pilota è un podcast sulle serie tv realizzato da Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce grazie alla piattaforma Querty.
Pilota 6X06: un ospite speciale, Paolo D’Alessandro, per analizzare il sottomondo seriale del mondo di Star Wars, soprattutto l’esempio più recente, ovvero Obi-Wan Kenobi. Clicca qua per ascoltare l'episodio.
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